martedì 12 dicembre 2017

Tommaso Romano, "Schegge di Estetica" / 2

L'artista è un facitore di ponti fra la realtà e il suo essere e manifestarsi idealmente e fattualmente attraversando le sue opere. Chi sostiene la scissione e l'autonomia dei linguaggi settoriali dell'arte, ha una visione scissa, parcellizzata, disorganica della creatività, che deriva da un Dono che trascende l'artista e che egli stesso può sempre affinare, nella ricerca verso un continuo perfezionamento. L'arte ha così una sua specificità redimente in sintonia con la vita ed anche in conflitto se necessario. Tale specificità va perseguita o praticandola e svolgendola come atto - frutto di visioni, razionalità, esperienza o sogno - o fruendola come possibilità spirituale ed estetica. Tuttavia, è sempre a partire dalla natura che apprendiamo il significato profondo del fare arte, non esclusivamente come mera ripetizione o imitazione, quanto come ri-creazione che non può non esprimersi in comunicazioni plausibili, non solo in mero esercizio - tutto da provare, fra l'altro - concettuale e falsamente minimalista. Ora, davanti allo svolgersi nichilistico e mercatista della modernità, l'arte si mistifica nella sua stessa natura e vocazione, perdendo ciò che invece l'aveva sempre contraddistinto come necessità etica ed estetica di un umanesimo creaturale non solo orizzontale (ma neppure solo verticalizzato) pragmatismo delle occasioni, né tantomeno come perseguimento del brutto, eretto a sistema e destino, quasi una metafora di gnosi spuria del cammino sulla terra, inteso come condanna e solo dolore. E ciò, appunto, può valere in tutti i dominii in cui l'arte si risolve: pittura, musica, scultura, parola letteraria e filosofica, fotocinematografia, considerate, piuttosto, discipline in relazione, dialoganti e in unità sostanziale, in oltreprassi, in autentica liberazione dell'ovvio.
Senza un'aspirazione alla trascendenza sul piano spirituale, veicolando e promuovendo il fondamento che è oggettivo alla bellezza, l'artista che conosce i limiti e rigetta l'onnipotenza, potrà edificare la sua interiorità e la sua stessa vocazione prima ad essere e poi ad apparire nel mondano e spesso transeunte successo. Anche i luoghi possono essere veicoli di simbolicità ulteriore, non solo per ciò che rappresentano storicamente, quanto per le suggestioni, le riflessioni, la penetrazione dei significati che essi ci propongono come riflessione ulteriore all'esserci, sul divenire, sulla libertà e sul nostro stesso destino.
Affidare il talento, quindi, non allo sterile narcisismo ma proiettarlo oltre, con rigore, verso l'infinita perennità cosmica. Tutto ciò è, non solo auspicabile, ma doveroso compito dell'artista e di coloro che si pongono esteticamente il tema dell'arte, per ridare - almeno nella propria individuale specificità e scelta vitale - un senso in grado di poter umilmente ma fermamente discernere cercando nell'opera l’Immagine, che è lo splendore del bene, di ciò che è armonico e giusto in mezzo alle barbarie dal volto disumano e disumanizzante, al laccio della regia egemonica occulta della tecnofinanza e dello scientismo, che orienta e impone nel mercato gusti, tendenze, mode.

Sarà questo un modo non effimero per rendere così testimonianza fattiva e contemplativa, al contempo, alla bellezza e alla forza del "Disegno intelligente" che è il Creato, che Dio ci ha consegnato (non solo la terra, ma il cosmo intero) e che, avendolo in custodia, abbiamo il dovere ma anche il potere di preservare, se ne saremo all'altezza, degni e capaci, per così affermare - sapendoli comunicare, trasmettere - i valori, nella sostanza ma anche nella forma, per non piegarsi alla dittatura dello spirito del tempo che ci è dato vivere.

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