mercoledì 20 gennaio 2016

Elogio alla cultura: intervista di Daniela Cecchini al Prof. Tommaso Romano per il Corriere del Sud

Lo scorso settembre ho conosciuto il prof. Tommaso Romano in occasione della cerimonia di consegna del “Marranzano d’argento 2015” che egli ha ricevuto per gli alti meriti artistici ed intellettuali, risultato del suo costante impegno profuso nell’ambito letterario e nell’intensa operatività culturale. Il prof. Mario Grasso, fondatore di questo premio istituito nel 1974, le ha consegnato personalmente la prestigiosa onorificenza, che ogni anno viene riconosciuta a rilevanti figure dell’arte, della cultura, dello spettacolo e della ricerca scientifica della Sicilia.
L’evento, che si è svolto a Palermo presso Palazzo Branciforte, si è articolato in due momenti di significativa importanza socio-culturale; il primo, che ha preceduto la premiazione, è stato la presentazione del saggio storico-biografico “Mafia e responsabilità cristiana – Il grido del Cardinale S. Pappalardo” di Maria Pia Spalla sulla figura del Cardinale Salvatore Pappalardo, Arcivescovo di Palermo dal 1970 al 1996.
Il palermitano prof. Romano, stimatissimo docente, pittore, editore, saggista, politico e sociologo, è noto per la sua spiccata sensibilità verso le arti letterarie e per l’attività di promozione e divulgazione della Cultura del suo territorio. Egli è il Presidente della “Fondazione Thule Cultura”fondata ed istituita nel 2001, con sede a Palermo presso Palazzo Moretti – Romano; ha preso il posto del “Cenacolo Thule” di studi storico-artistico-letterari, fondato nel 1973.
La Fondazione, che ha specifiche Collane Editoriali ed ha patrocinato alcune pubblicazioni, collabora stabilmente con Enti pubblici e privati, altre Fondazioni, Atenei, Gallerie d’arte e Case editrici, anche con le opere d’arte della sua collezione, con i materiali storico-documentali del proprio archivio e con la sua fornita e preziosa biblioteca. “Thule Cultura” fra le sue collezioni, annovera quelle dedicate a cartoline italiane e francesi del XIX secolo, medaglie, distintivi, decorazioni ed ex libris ed organizza il Convegno Nazionale di Studi, oltre a promuovere, organizzare e sponsorizzare eventi socio-politico-istituzionali ed artistici di grande spessore ed interesse nazionale ed internazionale.
Tommaso Romano, relatori d’eccezione dell’evento culturale a Palazzo Branciforte, ha approfondito profondi concetti, quali la responsabilità, la verità e la bellezza, fornendo quindi il profilo ideale dell’uomo politico, che dovrebbe porsi al servizio della politica, quindi, della collettività, con l’uso di un condizionale, che conduce ad opportune riflessioni rispetto al panorama politico che interessa la nostra epoca.
Interessante la sua riflessione sul concetto di repubblica, che parte dalla definizione proposta da Cicerone, uno fra i più grandi pensatori dell’età repubblicana, nella sua monografia sulla res pubblica, che trova così la sua sintesi: “la cosa pubblica è cosa del popolo”, ovvero “res pubblica id est res populi”, secondo la quale il popolo non è qualsiasi aggregato di persone, ma un insieme di persone che diventa società, per il riconoscimento e la condivisione del diritto e di un comune pratico scopo e per la tutela del proprio interesse.
Un concetto sicuramente molto distante dall’attuale scenario politico, all’interno del quale – afferma il prof. Romano – è sempre più difficile muoversi in una dimensione di verità, anche a causa della caduta libera della spiritualità. Uno Stato, fatto di istituzioni che lo rappresentano, primo fra tutte il Governo, che non si assume le responsabilità delle proprie scelte e decisioni, evoca sistemi che mettono in serio pericolo l’ordine, la giustizia e la pacifica convivenza.
Quindi, a conclusione del suo intervento, un chiaro invito rivolto a tutti, affinchè ognuno contribuisca a sostenere e difendere una politica giusta, fuori dall’illegalità, avulsa alla viltà di ambigue figure politiche, per il trionfo della sacralità, a sostegno della spiritualità, a tutela del bene comune e del buon senso.
Al termine di questo doppio evento di forte impatto culturale ed emozionale, il prof. Romano ha concesso al nostro giornale un’intervista.

Ho letto con vero interesse la sua raccolta di poesie “Dilivrarmi”. Attraverso le sue intense liriche percepisco forti richiami introspettivi, espressi in un chiaro linguaggio concettuale, che rimanda alla sua formazione filosofica di elevato spessore. Il suo è un ermetismo del quale avvalersi per celare in qualche modo la caducità, la sofferenza e la solitudine dell’umanità?
Grazie per le considerazioni sui miei testi poetici. Non so se il mio è ermetismo o altro; certamente per me la poesia deve prima evocare e poi dire. Non credo al poeta come un assistente sociale, credo invece nel valore assoluto della Parola che può essa sola, cambiare l’esistenza.

Nel mondo arcaico, erede di tradizioni per noi in gran parte perdute, erano molto chiare la figura e il ruolo sociale dei poeti: ad essi spettava il compito di trasmettere al popolo, attraverso i loro canti, i valori e le tradizioni, che garantivano continuità alla vita sociale e religiosa e che tenevano unito un popolo, garantendo i fondamenti della vita collettiva. E’ possibile un confronto tra il ruolo sociale riconosciuto un tempo alla poesia, rispetto ad oggi?
Il tempo della poesia è anzitutto nella coscienza di chi scrive e di chi sente, il suo ruolo è e resta elitario, poiché si è perso il senso e l’appartenenza alla comunità, in nome di un livellante e falsamente umanitario globalismo.

Se ci voltiamo indietro di qualche decennio, tutti noi ricordiamo un passato ricco di icastici valori e sentimenti umani, che si contrappone ad un presente vuoto, problematico ed incerto. Quali sono, secondo lei, i motivi che hanno determinato questa dilaniante disgregazione del nostro tessuto sociale?
La disgregazione è figlia delle filosofie della crisi e della scienza, ridotta a scientismo. Il problema consiste essenzialmente nella perdita di riferimenti non transeunti, nella banalizzazione del relativo, nella sottovalutazione della trascendenza. Il nichilismo, poi, riduce l’uomo a pura macchina, schiavo della tecnica e dell’indistinto scorrere delle cose banali.

Oltre alla sua prestigiosa attività di poeta, lei è anche critico letterario, editore di nicchia e saggista. Vorrei che mi illustrasse l’opera saggistica “Scolpire il vento”, che fa parte del suo “Mosaicosmo”, lo zibaldone che segue fedelmente la linea dei saggi precedenti, in una modalità di scrittura a mosaico, inteso come intarsio mentale e letterario. A tal riguardo, è straordinario come abbia messo insieme pagine antiche e nuove, fotogrammi di vita, scanditi dal vento in una galleria di ricordi e frammenti di emozioni preziose da custodire e da rievocare. Quindi, la vita è un’incessante ricerca dell’esserci, oltre il tempo?
Molto bene, lei evidenzia due elementi che sono fondanti nel mio universo creativo e nella scrittura che parte fondante di questo stesso mondo, e cioè la scrittura a mosaico e l’esserci oltre il tempo, che richiama Heidegger. In effetti, dovremmo pensare alla scrittura come a una sinfonia in molti movimenti, in molti stati dell’essere che si sostanziano a vicenda, fra letture, meditazioni, contemplazione e azione, senza dimenticare la vita onirica, che è parte reale della vita e non un surrogato, come qualcuno vorrebbe. Tornare all’unità, insomma, significa riscoprire le origini, il valore dell’anima, oggi smarrito e il senso delle cose, oggi o sopravvalutate o bistrattate. Insomma, come dice Platone, la memoria dell’anima ha anche una scintilla divina e noi dobbiamo esserne degni, cercando di coglierla e viverla.


L’aria crea vita, movimento e pensiero, come affermava il filosofo Diogene di Apollonia, il quale considerava l’aria come ciò che ogni cosa pervade. Desidererei soffermarmi sul concetto di aria, intesa come infinità e continuo movimento, che anima dinamicamente il mondo. Parafrasando Anassimene da Mileto: “Come l’anima nostra, che è aria, ci sostiene, così il soffio e l’aria circondano il mondo interno”. Vorrebbe spiegare ai nostri lettori, come fa con i suoi studenti, questo concetto di così alto profilo filosofico?
Tutto nasce dall’essere, ma si manifesta nel divenire. E il divenire è fatto di elementi, non solo cronologici e non solo progressivi. È la dinamica cosmica che noi, anche senza saperlo, respiriamo come vita senza respiro, senza aria non vi è vita, sembra di isolare evidenze e pure lo dimentichiamo. Tutto ciò che compiamo diventa insieme memoria, anche infinitesimale, è una tessera che si iscrive nel cosmo invisibile, eppure visibile e veritativa. Questo non vuol certo sminuire l’importanza e la bellezza del corpo, ma il suo limite di riscatto nel cielo delle permanenze per ognuno, anche il più umile fra gli uomini, ritrova un senso e un ordine destinativo.


Nei suoi racconti, come per le biografie e i saggi, lei ripercorre con occhio critico ed analitico, testimonianze, citazioni e riferimenti storici, significativi momenti di vita e le opere dei tanti personaggi che ha avuto modo di incontrare, grazie alle sue vaste ed eterogenee frequentazioni. Qual è il suo personale ricordo dei Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, un esempio per onestà intellettuale, aulico profilo morale, competenza e professionalità; due persone unite da antica amicizia e da un tragico, comune destino?
Nella storia del mondo, ogni biografia è appunto una narrazione umana del nostro cammino. Non esiste solo l’opera, qualunque essa sia, compresa quella dell’artigiano o dell’agricoltore; esistono le avventure e le apparenti consuetudini ripetitive, in realtà mai uguali a se stesse. Da ciò, l’irripetibilità e unicità di ogni essere umano. Falcone e Borsellino, ma anche tanti altri martiri caduti in nome della giustizia, sono anzitutto esempi di buona e retta vita. Ho conosciuto ed avuto modo di praticare Paolo Borsellino, ho invece solo visto qualche volta Falcone. Borsellino è stato per me e per tanti un autentico Maestro, un credente impavido, rigoroso, attento, umanissimo ma anche capace di ironia. Quante conversazioni illuminanti, che per sempre hanno segnato in me la scelta del sacrificio e della consapevolezza, anche in questi tempi oscuri e di crisi profonda.

Le sue profonde riflessioni si muovono sempre seguendo vari registri d’interesse, da quello storico al letterario, dall’estetica alla biografia e denotano un’inesauribile curiosità intellettuale, che contraddistingue il suo multisfaccettato percorso esistenziale. Stiamo attraversando un’epocale crisi umanistica, etica e spirituale, forse travolti dalla prepotente invasione degli strumenti informatici, che ci ha colti solo teoricamente preparati e da un sistema mediatico anomalo e fuorviante. Cosa ne pensa del progresso all’alba del terzo millennio?
Il problema della tecnica è sempre stato all’attenzione di filosofi e pensatori fin dal tempo greco. Oggi è del tutto evidente che la tecnologia tende a sostituirsi all’umano, un Grande Fratello, unPadrone del mondo, non tanto occulto ormai determina gusti, tendenze, cadute etiche, attentati all’ordine naturale del creato. La risposta della cultura, del pensiero, della stessa poesia forse non è all’altezza oggi di una così apocalittica epoca. Tuttavia, senza ottimismi di maniera e speranze fallaci e retoriche, ognuno di noi ha il compito supremo di essere anzitutto se stesso, di praticare libertà e dissenso rispetto alla logica distruttiva, che è propria del nichilismo imperante. Bisogna, quindi, anzitutto salvaguardarsi interiormente e nell’ambito sociale, costruire rettangoli di ammutinamento, portare avanti un compito che è iscritto nel cuore dell’umano, essere esempi e non fantasmi di apparenze. Il futuro è certo nebuloso, carico di interrogativi a cui soltanto la singolarità potrà efficacemente rispondere.

Il nostro Paese e la sua Sicilia sono ricchi di un inestimabile e policromo patrimonio artistico e culturale, del quale i nostri amministratori sembrano interessarsi in modo superficiale. Tutto questo sta conducendo le nuove generazioni ad una pericolosa perdita d’identità. Solo la conservazione, la divulgazione ed il rispetto della memoria storica potrà mettere in salvo le nostre preziose radici dalla deriva. Vorrebbe esprimere il suo pensiero a riguardo?
Lei stessa ha già compiutamente risposto nel cuore della sua domanda, ed io ho solo da approvare, consentendo ai suoi convincimenti. Tuttavia, va sottolineato che per salvaguardare bisogna conoscere, studiare, stimolare la sensibilità e il senso civico. L’identità è un processo complesso e non può certo esaurirsi negli indiscriminati umanitarismi, che tendono a risolvere con facili slogans ciò che invece è assai più complesso. Bisogna rileggere la storia, non avere paura di revisionarla, quando e dove occorra ristabilire la verità dei fatti, fuori dalle ideologie e dalle opinioni.
Intanto, contestualizzando i fatti storici, che non si possono certo giudicare alla luce del nostro tempo, con una saccenteria che fa ritenere superiore un mondo, una vicenda rispetto ad un’altra. Poi, una constatazione che può apparire banale: se la tanto vituperata storia antica medioevale e moderna fosse azzerata e totalmente cancellata dal libro delle civiltà, che cosa resterebbe di noi e del mondo? Questo dovrebbe essere l’esame di coscienza a cui tutti dovremmo rifarci per evitare la deriva nella nullificazione.

La capitolazione della ragione: sovvertire il genere umano

di Tommaso Romano

La pesante offensiva architettata scientemente nei confronti dell’integrità e intangibilità del genere umano, per come esso è naturalmente, razionalmente ed affettivamente e per come lo sperimentiamo e lo intendiamo da sempre, è puntata a relativizzare e comprendere, giustificandolo, ogni singolare capriccio e ogni egoismo, esaltandolo come espressione di autonomia e libertà senza limiti, individualisticamente intesa.
In effetti, se ben si seguono le sorti “magnifiche e progressive” del libertarismo e del libertinismo filosofico e letterario (che agiscono attraverso la radicale concezione della gnosi, da tempo immemore), dell’edonismo come ideologia e prospettiva assolutamente liberanti, sciolte da ogni legame e vincolo, non possiamo che assistere ad un processo che ha attentato e sta mirando al cuore dell’ordine civile e morale, e ciò sia detto senza moralismi. Complici e attivi protagonisti di questo rivoluzionario stravolgimento tentato al fine di creare l’indistinto umano, l’androgine asessuato, la interscambiabilità dei ruoli, senza residua identità, un briciolo di pudore e valori che si concretizzano nelle pratiche che affondano nell’elaborazione artificiale razionalista, illuminista, positivista, freudiana e che hanno trovato i fondamenti teorici  e poi applicativi nel ribaltamento dei concetti stessi di ordine civile e di diritto naturale. In tutti gli ambiti, una tale distruttiva e nichilistica tendenza si è manifestata con straordinaria virulenza: dalla scienza politica alla teologia, dalle scienze umane e sperimentali al conseguente predominio voluto della tecnica, sostenuto da occulti manovratori che fanno riferimento ai grandi poteri economico-finanziari, da ascrivere alla logica imperante e spietata del capitalismo mondialista senza volto e senza morale.
Non solo si è ingenerata la grande messa fra parentesi e sottovalutazione di Dio, ormai ridotto a simulacro nemmeno tanto simbolico, a un consolatore che tutto giustifica (una aberrazione smentita in toto dai Testi Sacri, dall’Antico e Nuovo Testamento e per gran parte anche dagli apocrifi), una sorta di indistinto amministratore onorario dell’universo, più correntemente inteso come non altro che una mera costruzione del pensiero umano, un’anticaglia insomma che ancor meno del famoso oppio di Marx.
Deismo e Panteismo si incontrano così nella codificazione del vago sentimentalismo consolatorio, lo stesso Gesù Cristo è al massimo considerato un bel personaggio della storia al pari di altri profeti o pseudotali come Maometto, Buddha, Confucio, ecc…, non certo la fonte della Verità che si è umanizzata nella Sostanza Divina per salvare. Un Cristo buono, arrendevole, per giustificare senza ricorrere alla giustizia e al giudizio divino. Una rivoluzione, che non ha risparmiato le chiese, a cominciare da quella cattolica, nella stragrande maggioranza delle loro gerarchie e componenti.
La secolarizzazione della società è una conseguenza di questa riforma sostanziale che porta, a volte inavvertitamente, all’eclissi del Dio Creatore.
La separazione assoluta fra vita civile e vita religiosa e sacrale, ha naturalmente portato alla totale laicizzazione delle istituzioni, con la radicale espulsione di ogni riferimento trascendente a favore di una etica e di una prassi umana, molto umana che, in nome dell’assolutezza del soggetto, nega in radice ogni possibilità di etica pubblica fondata sul ricorso a valori, principi, modelli fondati sull’autorevolezza e non sul relativismo che tutto equipara nell’esigenza dell’umano.
Cade così il principio, che è naturale oltre che giuridico, della famiglia fondata oltre che sull’amore, intanto su ciò che la fa in quanto  tale, e cioè un padre e una madre e il figlio loro frutto. Si vorrebbe equiparare la famiglia naturale a quella di sana pianta inventata dall’arbitrio individualistico ed edonistico, negando in radice la natura stessa a  favore dello sfruttamento funzionalista della maternità surrogata. Argomentare che gran parte dei paesi stranieri va legalizzando tutto ciò, non significa certo decidere per il reale progresso e l’integrità dell’istituto familiare, naturalmente vocato alla trasmissione della vita.
La condizione omosessuale è quindi da considerare come cosa a se stante rispetto all’equiparazione degli istituti familiari che è oggettivamente tutt’altra cosa. L’una, quando è vissuta decorosamente, senza ostentazioni e nelle normate garanzie delle reciprocità si può inscrivere nella prassi (ma ciò vale esattamente anche per la condizione degli eterosessuali), l’altra s’inscrive  nella astrazione e nella pretesa puramente egoistica. 
Lo stato non può certificare né il furto né l’assassinio, seppur praticati da una minoranza,  le istituzioni moderne tendono invece a legalizzare ogni inclinazione e ogni volere, legiferando non per il bene comune e dei terzi ma per il bene esclusivo dei singoli che non si curano, a loro volta, delle conseguenze che potranno ingenerare su una prole votata alla disidenticità. Ma la logica della modernità, dopo aver smantellato lo spirito della famiglia tradizionale e la forma di quella naturale e con la stessa negazione del principio dell’intangibilità della vita nascente, non si ferma e codifica come un notaio cieco ogni tipo di tendenza e di volere, assai utile peraltro alle crescenti esigenze della produzione e del capitale, che percorrono così nuove strade del consumo con offerte sempre più trasgressive e accattivanti nel nome della “moda”.
La perdita dei ruoli, la crescente mascolinizzazione delle donne e l’inquietante femminilizzazione degli uomini, oltre che indotta è volutamente incoraggiata dalle sofisticate centrali del sovvertimento, che non operano solo a fine di lucro.
Ultima frontiera – almeno fino ad ora, ma si ci aspetta tanto altro… - è il c.d. Gender, una idea che tende a generalizzarsi, che parte dall’assunto che ognuno può essere ciò che vuole apparire  nell’aspetto e anche sessualmente, basta solo volerlo e le istituzioni si premureranno a legalizzare.
Una conseguenza diretta della rivoluzione sessuale già preconizzata come liberatrice dalla frustrazioni e dai complessi.

Scegliere con il proprio arbitrio in nome di un falso concetto della libertà e senza tener conto né di ciò che si è veramente, né degli altri, specie in campo educativo, corrisponde a ridurre il soggetto alla pura dimensione animalista (l’animalismo esasperato è, infatti, una componente di questa rivoluzione) in ogni tendenza. Svuotando l’ordine naturale, la procreazione, l’educazione e ogni fondamento di valore. Arrendendosi, insomma, alla “logica” della giungla, con gli esiti che non è difficile intravedere. Le deboli anche se a volte generose resistenze a tale dissoluzione in atto sono lo specchio di una indifferenza e sottovalutazione quietistica dell’attuale realtà di crisi. 

lunedì 11 gennaio 2016

Presentazione dell'antologia "I poeti e la crisi" a cura di Giovanni Dino



Il 15 gennaio 2016 alle ore 16, 30 nella sala Chinnici della biblioteca comunale Edoardo Salmeri, viene presentato a Villabate il libro antologico “I poeti e la crisi”. Si tratta di una raccolta di 179 testi poetici di 179 poeti che hanno espresso attraverso il loro componimento una loro testimonianza sulla crisi e contro la crisi economica e civile del nostro paese. Il libro è stato presentato nello scorso mese di novembre a: Mestre (VE), Modena, Torino, Firenze, Rimini. 
L’invito a partecipare alla presentazione de I POETI E LA CRISI è rivolto a tutta la cittadinanza. Si tiene presente che tale presentazione è la prima che si fa in Sicilia Partecipano all'evento alcuni poeti presenti nell’antologia 
Ci parleranno del libro Elio Giunta (poeta-giornalista) Vincenzo Arnone (sacerdote-scrittore) e l’editore Tommaso Romano (poeta-saggista) Moderatore: dott. Francesco Giglio (Presidente del circolo “A. Grandi” di Villabate )
Saranno presenti il Sindaco dott. Vincenzo Oliveri e il curatore Giovanni Dino