giovedì 9 luglio 2015

Nel buio aspettando l’alba, speranza che non muore schegge dal mosaicosmo di Tommaso Romano

di Gianfranco Romagnoli

Questo agile volumetto, che esce per le edizioni Limina Mentis nella collana Fede e Ragione in concomitanza con il sessantesimo compleanno di Tommaso  Romano, si propone di illustrare la figura e il pensiero di questo importante Autore, ben noto non soltanto nei circoli intellettuali di Palermo, ma altresì a livello nazionale ed internazionale.
Nel suo Proemio la curatrice, sua collega ed amica, non si nasconde la difficoltà di fornire un compiuto ritratto di una personalità tanto complessa ed in continua evoluzione: tuttavia, attraverso una “carrellata” sulla sua vita, le sue tantissime opere ed i suoi vasti e molteplici interessi, riesce a dare un’idea abbastanza precisa di uno studioso che è, al tempo stesso, filosofo, poeta, narratore, editore, ricco di incontri e relazioni di amicizia con i più importanti personaggi della cultura mondiale contemporanea e che presenta tanti altri aspetti, che sarebbe arduo e riduttivo tentare di definire.
Ne emerge il ritratto di un intellettuale a tutto tondo, una figura che definirei “uomo del Rinascimento” per la molteplicità degli interessi e dei suoi campi d’azione; ma soprattutto, come pure la stessa Allotta sottolinea, la figura di un Maestro, non soltanto per avere svolto, con continuità a tutt’oggi ininterrotta, un’alta opera educativa e formativa della gioventù, ma  anche (e specialmente, a mio avviso) per avere raccolto intorno a sé e alle sue iniziative, come in una scuola filosofica, tanti ingegni che si riconoscono nelle linee portanti del suo pensiero, volto a coltivare con assoluta coerenza, mantenuta anche negli incarichi politici ricoperti in passato, la ricerca del Vero, del Bello e del Bene quali frutti dello Spirito e  personale contributo a quel “mosaicosmo” da lui teorizzato, al cui disegno complessivo concorrono con uguale necessità, ciascuno mediante la propria “tessera” , tutti gli esseri umani.
A questo punto, la parola passa direttamente a Tommaso Romano attraverso gli scritti, racchiusi nel simbolico numero di sette capitoli, che dalla sua vastissima opera la curatrice  ha enucleato come rappresentativi del suo pensiero: “schegge” che trattano, rispettivamente, l’essenzialità della parola viva; la teoretica come altezza cosmica; la gnoseologia come integrità dell’esserci; l’etica in tempo di crisi; la pedagogia come formazione dell’uomo integrale; l’estetica come etica; per culminare nel finale capitolo “dalla morte di Dio al Dio vivo”.
Un adeguato commento a ciascuno di queste “schegge” richiederebbe molto tempo e spazio: mi limiterò pertanto, pur avvertendo in pieno la riduttività della mia scelta, a richiamare alcuni punti, “schegge di schegge”, che mi hanno particolarmente colpito.
In una prima parte (capitoli da 1 a 3),  svolta su un piano squisitamente teoretico, la Parola è definita epifania del Sacro, mezzo di redenzione, speranza, profezia: in particolare, la parola poetica è versus, ritorno al Divino, sortilegio e mito, base di tutte le arti e, attraverso esse, veicolo di accesso alla verità. Poi, la frase «L’Origine crea l’Inizio, successivamente, l’Inizio crea gli enti, gli enti divengono. Dal caos al Kosmos», riecheggiante temi neoplatonici pur nella originalità della successiva elaborazione, attenta al rapporto con l’Altrove e l’Attimo e sfociante nella costruzione del concetto di Mosaicosmo, formato da tante tessere e sintesi simbolica delle vite degli uomini, che «si perpetuerà come rinnovamento dell’umano e come perennità dell’anima».
La gnoseologia, infine, intesa come costruzione filosofica chimerica sì, ma necessaria, anzi indispensabile, legata alla percezione e che disquisisce sull’Eterno, ma da non assolutizzare in sistemi che esaltino il passato o lo condannino decontestualizzandolo.
In una seconda parte (capitoli 4 e 5) il filosofo scende sul piano dell’agire umano, denunciando la crisi di valori dei nostri tempi che ha generato il corrente pensiero unico, mascherato di falso buonismo, di «umanitarismo senza humanitas» e di ipocrita egualitarismo, sottolineando, contro il pericolo di omologazione e marginalizzazione,  la necessità di assumere un atteggiamento attivo verso se stessi quale «condizione di dignitosa sopravvivenza, uno spazio di ammutinamento dove far convergere le poche individualità disponibili per non lasciarsi stritolare da un dominante pensiero planetario dell’indistinto, del conformismo, del banale misto a volgarità»: ciò si realizza  nutrendosi di «conoscenza fisica e oltrefisica», aiutandosi con letteratura, filosofia, fede, logica, recuperando l’autentica Tradizione e riscoprendo il senso del Sacro. Una tale impostazione trova il suo naturale sviluppo nelle considerazioni che il nostro Autore svolge sulla pedagogia, tutte puntate sulla missione del Maestro di formare nel giovane l’uomo integrale, educandolo alla  libertà, alla scoperta dello “stile” e del “gusto”; riflessioni che si confrontano, in senso fortemente critico, con l’attuale stato di totale crisi della scuola, indotta, dal cedimento al progressismo degli slogan, a scelte spesso orientate a un «discutibilissimo “specialismo” che elimina l’orizzonte della totalità»,.facendone non più un luogo di cultura, ma «una burocrazia di funzioni affidate senza selezione, a singoli organismi pletorici e inconsistenti, dagli effetti spesso perniciosi, che producono intralcio e perdita di tempo, sottratto allo studio e all’apprendimento».
Con il sesto capitolo, dedicato all’estetica come etica, il Nostro torna alla riflessione teoretica e nel richiamare l’endiadi platonica Bellazza-Virtù, pur affermando l’impossibilità di enunciare un sistema estetico e, quindi etico, asserisce che «al di là di ogni declino epocale si può, solo se si vuole, accarezzare il Bene e la Bellezza anche aspirando alla Grazia, all’intervento della Provvidenza e alla Redenzione». Il bene è la partecipazione al Sacro e il suo rifiuto ne è l’antitesi. Va respinto il delirio di onnipotenza: l’uomo non è Dio, ma pellegrino errante; va valorizzata l’amicizia come affinità, che è Armonia. Occorre tenere conto del pluralismo dei valori nel mondo, ma mai rinnegare la propria coerente visione.
La riflessione teoretica di Tommaso Romano culmina ad altezza divina nell’ultimo capitolo in cui egli, premesso che «Dio c’è senza bisogno delle nostre credenze», individua nell’uomo la scintilla dell’Eterno e vi rintraccia il Ritorno al punto di Partenza. Il Figlio di Dio fatto uomo e da noi crocifisso, è il portatore della vera  Pace, che non è «il risultato di iniziative o trattative umane, ma piuttosto … fiducia e fede nella Tradizione … messaggio non da proclamare come ideale ma … realtà giù donata da Lui e in Lui». Contro le distorsioni nel proporre la figura di Cristo come pacifista e il Suo insegnamento  secondo una «ciarliera, incoerente e sincretistica nuova teologia», è «la nostra quotidianità che deve riscattare la morte di Dio, ovvero riscattare dal pensiero negativo, dal nichilismo, quella Luce che sola può illuminare  l’umano transito verso la Patria Celeste».Vivere Cristo impegna totalmente l’uomo, liberandolo: il Regno è la salvezza dell’uomo



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