di Tommaso Romano
Le maschere pirandelliane ci appaiono sempre più come rappresentazioni simboliche di tragedie verosimili.
La realtà ha superato ogni fantasia, ogni dissonanza eccentrica e marginale, per diventare preda del volgo, i cui fili invisibili muovono i burattinai della globalizzazione dei cervelli e delle anime.
Le maschere delle disumanizzanti e sfigurate metropoli, che girano intorno a noi fra la messa in scena e il macabro, sono l’annuncio grottesco e ultimo della disperazione per sazietà, del continuo e sciatto autorinnegarsi nella intima essenza stessa della propria natura, nei gesti, nei costumi, nel linguaggio. Con l’aggravante che la scienza divenuta sincretismo e la tecnica pervenuta a tecnocrazia, hanno aumentato l’astrazione fino al parossismo dell’illimite, al virtuale nulla percepito e sostenuto come reale.
Non scomoderemo l’immenso Vico quando ci ammonisce sul pudore – termine e concetto che i più ormai ignorano o deridono, e non scomodiamo i “perduti valori” – ma queste caricature di maschi, femmine e prodotti assortiti, di pseudo-umanità, tanto somigliano alla falsa allegria dei demoni del “bene”, che si sono moltiplicati e si moltiplicano per voluto sadismo e rivendicano il “diritto” alla mutazione totale, approdo alla vittoria finale del c.d. amore.
Eccolo l’esito del fondamento moderno, l’occultamento furibondo del Mistero, del Metafisico, dell’Infinito, che ripudiando Dio e la Sua legge, aveva promesso un messianismo felice in versione marxista o turbocapitalista, fino alla nuova positiva religione di Comte, al nichilismo, alla caduta nel vuoto della noia.
Anche nel comune sentire, in nome di una frase che è più di una rivoluzione – Chi sono io per giudicare ? - si fa strada la beota acquiescenza a non avere e proporre fondamenti, domande, dissensi. Non dico di votarsi al martirio, certo, al rischio e al pericolo che è il mestiere degli eroi e dei santi, alla rivolta manifesta – un aiuto in sostanza ai sovvertitori – quanto al destare in sé un radicale disgusto interiore, vocandosi al senso e alla pratica della distanza e del necessario ignorare.
Alla morte di Dio ucciso dall’uomo segue, come lo stesso grande e disperato Nietzsche capì, lo svuotamento verso il suicidio dell’uomo che si manifesta appunto in molteplici modalità: la transitorietà di ogni cosa, il perseguire il corpo anche con segni e incisioni che lo carnevalizzano a vita, il tentare la mutazione antropologica rispetto alla natura, al rifiuto dell’idea stessa della vita e del futuro, nell’ordine creaturale e cosmico.
La farsa che si consuma nelle nostre strade e negli antri, è un annuncio del vero tragico epilogo mortifero in atto.
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