di Tommaso Romano
Nel giorno della consegna della falce e martello con
pseudo forma di croce al Papa (stupito?!) da parte del dittatore boliviano Morales,
nel giorno della definitiva approvazione della pessima legge sulla scuola
Giannini-Renzi, nel giorno della (non definitiva…) condanna al corruttore di
deputati, ho riletto un Enciclica del 10 gennaio 1890 di Papa Leone XIII, pontefice
non certo modernizzante (come sostengono alcuni zelanti perfettisti) dal titolo
“Sapienteae Christianae”, scritta con un linguaggio chiaro, coerente, diretto
che seguiva in continuità l’insegnamento di Pio IX e il Vaticano I e anticipava
San Pio X e il suo Magistero antimodernista. Lo stesso, in corrotto Magistero che
troviamo, in linea dottrinale coerente, fino a Pio XII.
Prima di qualche considerazione sull’Enciclica leonina
(del Papa cioè che non scrisse solo la pur superba “Rerum Novarum”) alcune
semplici domande da un semplice cattolico – pieno di peccati e di errori – non “adulto”
e non progressivo, e vorremmo che qualche Galantino ci rispondesse: l’insegnamento
magisteriale della Chiesa (non di singoli, a volte riprovevoli, comportamenti)
fino a Pacelli e da riporre definitivamente in qualche archivio del tempo
andato? A questo Magistero qualche radice e valore non solo se riferito al
tempo storico? (se così fosse, l’Enciclica di Francesco sull’ambiente come
potrebbe considerarsi se non un documento sociologico e quindi interpretativo e
privato e certo non altro che un contingente atto pastorale di indirizzo come
avvenne per gli Atti del Vaticano II, pastorali appunto, così definiti non da
un cardinale Siri o Ottaviani, ma da allora cardinale Ratzinger, poi
Benedetto XVI, ancora felicemente vivente e parlante – bene – di musica sacra).
Ancora la Chiesa bimillenaria voluta da Cristo stesso con Pietro primo
Pontefice, a forse errato sempre, insegnando le cose che ha insegnato al popolo
cristiano ancora sano e saldo grazie all’ortossia degli insegnamenti sulla fede
dei padri? Se non è così, come io credo invece col Credo del Concilio di Nicea,
allora le cose stanno in questo modo: o si riconosce per vero un insegnamento
assistito dallo Spirito Santo per due millenni sempre e che si vivifica nel
tempo alla luce e al fondamento della tradizione, o quell’insegnamento è
parziale ed è da intendersi storicisticamente e quindi non interamente vero,
parziale, superabile secondo liberale antropocentrismo. Per tali elementari
sillogismi (non ho una Fede “adulta” ed emancipata come tanti Marx, il
cardinale tedesco intendo molto più avanzato di quel tale “ebreuccio” di
Treviri, per usare le parole di Giuseppe Tomasi di Lampedusa) o la Chiesa
Cattolica, Apostolica e Romana è nata cinquanta anni fa, insieme al fumo di satana
che vi si è introdotto (Paolo VI) e, quindi, tutto quanto appartiene al prima è
verbosa, inutile anticaglia e conseguentemente tutto ciò che viene dopo è
verità (relativistica?). Qualcosa non
quadra alla logica, al retto sentire.
Se si spezza la continuità non solo storica ma
dottrinale, il rischio che stiamo correndo è la deriva, che il modo invece
tanto ama da applaudirla conformandosi così alla deriva stessa.
Dai padri ai Santi Agostino, Bonaventura, Tommaso d’Aquino,
passando per i Santi Tommaso Moro, Pio V, Bellarmino arriveremo alla costanza
della Fede professata nell’unica fedeltà che Papi e Vescovi, per primi
dovrebbero avere e continuare ad insegnare: quella a Gesù Cristo.
Come dice Piero Vassallo noi non crediamo alla “vacanza”
dello Spirito Santo né a quella di ieri né a quella di oggi e non siamo
sedevacantisti. Siamo sempre rimasti dalla parte della tradizione e per la
verità soprattutto seguendo il monito di Gesù Cristo nella Chiesa, anche quando
non era umanamente più giusto stare ad Econe (che tante giuste cose diceva e dice)
ventisei anni fa.
Ma siccome egualmente crediamo nelle Profezie e nell’Apocalisse
giovannea che questo tempo ci propone in atto e, se è vero che non prevalebunt e altrettanto vero, perché
è scritto ed è verità di fede, che questo è il tempo ultimo e degli ultimi
(senza conoscerne ovviamente le umane date) prima della Restaurazione e della
Parusia per i Salvati.
Leggete Giovanni, cari cristiani adulti senza le
lenti deformanti della vostra albagia.
In tanto ripropongo l’Enciclica di leone XIII,
attualissima come ogni autentica profezia ed insegnamento. Tutto il contrario,
nello spirito e nella lettera, dell’odierno “politicamente corretto” discorrere
di Fede, alla luce dei corruttori segni dei tempi.
A cominciare dalle considerazioni pontificie che Leone XIII fa sulla guerra a Dio a cui si
vota il mondo con i suoi mentonieri maestri “che prometto agli altri la
libertà, mentre essi stessi sono schiavi della corruzione”(Pt. I, 19). Quanto “più
grandi sono i progressi che riguardano la vita corporale, tanto maggiore è il
tramonto dei valori che riguardano l’Anima” scrive Leone XIII e, ancora, “è un
atto di empietà abbandonare l’ossequio a Dio per soddisfare gli uomini”.
Inoltre “se le leggi dello Stato dovessero essere
apertamente in contraddizione con il diritto divino; se dovessero essere
ingiuriose verso la Chiesa, o contraddire i doveri della religione o violare
l’autorità di Gesù Cristo nella persona del Papa, allora è doveroso resistere
ed è colpa ubbidire; e questo si collega al disprezzo verso lo Stato, perché si
pecca anche contro lo Stato quando si va contro la religione.” .
Dal che dice il Papa “appare chiaramente che se
leggi umane dovessero stabilire qualcosa di contrario all’eterna legge di Dio, sarebbe
giusto non obbedire”.
Per finire, meditando vorrei che qualcuno con me
riflettesse rispetto a questi ammonimenti:Cedere all’avversario o tacere,
mentre dovunque si alza tanto clamore per opprimere la verità, è proprio dell’inetto
oppure di chi dubita che sia vero quello che professa” e , quindi, “ ne
consegue che qualunque cosa certamente rivelata da Dio deve essere accettata
con pieno ed eguale assenso:”negare Fede ad una sola di queste, significa
rifiutarle tutte”.
Resistere, allora, allo Stato che impone leggi antinaturali
e anticristiane (e se il caso a qualche maggioranza di Sinodo) radicando nell’animo
ciò che Paolo chiama “prudenza dello Spirito”(Rm. 8,6) l’aurea via di mezzo, “propria
di ogni privato, che nel governo di se stesso segue i dettami della retta
ragione”, il “bene personale di ciascuno”.
A questo deve mirare la resistenza interiore, la
professione – senza se e senza ma – al Cristo Crocifisso e risorto per noi.
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