mercoledì 21 novembre 2018
lunedì 22 ottobre 2018
giovedì 24 maggio 2018
mercoledì 16 maggio 2018
venerdì 20 aprile 2018
giovedì 12 aprile 2018
mercoledì 14 marzo 2018
mercoledì 7 marzo 2018
venerdì 2 marzo 2018
lunedì 19 febbraio 2018
Presentazione del volume di Cristina Battocletti, "Bobi Bazlen. L'ombra di Trieste", venerdì 23 Febbraio al Museo Internazionale delle Marionette di Palermo
Grazie a lettere, documenti mai visti e nuove testimonianze Cristina Battocletti compone un ritratto inedito del fondatore di Adelphi, Bobi Bazlen, partendo da Trieste, dove è nato nel 1902: la scoperta di Svevo, di Kafka e Musil, il carteggio inedito con Pier Antonio Quarantotti Gambini, i retroscena del legame reciso con il poeta Umberto Saba e la figlia Linuccia. L'ombra lunga di una città, che ha lasciato un segno indelebile nell’uomo che ha cambiato il volto della cultura europea del '900.
"Bobi Bazlen è un nome astruso, sconosciuto ai più, e pur con quel cognome poco italiano è stato uno degli uomini che maggiormente hanno influenzato la cultura del nostro paese nel dopoguerra. Sfuggente, misterioso, è rimasto un’icona nell’ombra” così inizia la ricognizione di una delle figure che hanno dato avvio al Novecento, fondatore assieme a Luciano Foà di Adelphi, consulente di Einaudi e delle più importanti case editrici italiane.
Cristina Battocletti, grazie all’accesso a centinaia di documenti inediti e privati, racconta come Bobi Bazlen (Trieste 1902 - Milano 1965) sia all’origine della scoperta di Italo Svevo e della pubblicazione di molta letteratura mitteleuropea fino ad allora sconosciuta, tra cui Franz Kafka e Robert Musil. Capace di leggere indifferentemente in tedesco, italiano, inglese e francese indovinava il valore dei libri in base al fatto che avessero “il suono giusto”. Affascinato da oroscopi e mappe astrologiche, aveva una cultura vastissima che si spingeva fino all’antropologia e all’arte primitiva. Di madre ebrea e padre cristiano evangelico, da adulto abbracciò il taoismo e le filosofie orientali. Imprendibile, misterioso, bizzarro anche nel vestiario, è rimasto sempre nell’ombra. Chi era dunque, Roberto, Bobi, Bazlen? Perché ha lasciato fantasmi irrisolti? Perché era amato da tanti, come la poetessa Amelia Rosselli, e avversato da altri, come il regista Pier Paolo Pasolini e lo scrittore Alberto Moravia? Una vita piena di passioni, amicizie profonde e frequentazioni di intellettuali come Elsa Morante, sofferenze, sullo sfondo della grande storia del Novecento. Dalle mattinate passate nella bottega di Umberto Saba al dialogo ininterrotto con Eugenio Montale, alle correzioni alle poesie del Nobel Eugenio Montale, all’avventura della psicoanalisi, con Edoardo Weiss e Ernst Bernhard, di cui fu uno dei primi pazienti. Questo libro racconta un Bazlen inedito, partendo da Trieste che lasciò a 32 anni senza farvi (forse) più ritorno.
Cristina Battocletti, nata a Udine, è vice responsabile della “Domenica” del Sole 24 Ore. Critica cinematografica, ha pubblicato il suo primo testo, selezionato al Grinzane Cavour, nei "Racconti del sabato sera" (Einaudi, 1995). Ha scritto a quattro mani la biografia di Boris Pahor, "Figlio di nessuno" (Rizzoli, 2012), Premio Manzoni come miglior romanzo storico. Nel 2015 ha pubblicato il romanzo "La mantella del diavolo" (Bompiani), che ha vinto il Premio Latisana per Il Nord Est ed è stato finalista ai Premi Bergamo, Rapallo e Asti.
Presentazione del volume di Cristina Battocletti, "Bobi Bazlen. L'ombra di Trieste", venerdì 23 Febbraio al Museo Internazionale delle Marionette di Palermo
Grazie a lettere, documenti mai visti e nuove testimonianze Cristina Battocletti compone un ritratto inedito del fondatore di Adelphi, Bobi Bazlen, partendo da Trieste, dove è nato nel 1902: la scoperta di Svevo, di Kafka e Musil, il carteggio inedito con Pier Antonio Quarantotti Gambini, i retroscena del legame reciso con il poeta Umberto Saba e la figlia Linuccia. L'ombra lunga di una città, che ha lasciato un segno indelebile nell’uomo che ha cambiato il volto della cultura europea del '900.
"Bobi Bazlen è un nome astruso, sconosciuto ai più, e pur con quel cognome poco italiano è stato uno degli uomini che maggiormente hanno influenzato la cultura del nostro paese nel dopoguerra. Sfuggente, misterioso, è rimasto un’icona nell’ombra” così inizia la ricognizione di una delle figure che hanno dato avvio al Novecento, fondatore assieme a Luciano Foà di Adelphi, consulente di Einaudi e delle più importanti case editrici italiane.
Cristina Battocletti, grazie all’accesso a centinaia di documenti inediti e privati, racconta come Bobi Bazlen (Trieste 1902 - Milano 1965) sia all’origine della scoperta di Italo Svevo e della pubblicazione di molta letteratura mitteleuropea fino ad allora sconosciuta, tra cui Franz Kafka e Robert Musil. Capace di leggere indifferentemente in tedesco, italiano, inglese e francese indovinava il valore dei libri in base al fatto che avessero “il suono giusto”. Affascinato da oroscopi e mappe astrologiche, aveva una cultura vastissima che si spingeva fino all’antropologia e all’arte primitiva. Di madre ebrea e padre cristiano evangelico, da adulto abbracciò il taoismo e le filosofie orientali. Imprendibile, misterioso, bizzarro anche nel vestiario, è rimasto sempre nell’ombra. Chi era dunque, Roberto, Bobi, Bazlen? Perché ha lasciato fantasmi irrisolti? Perché era amato da tanti, come la poetessa Amelia Rosselli, e avversato da altri, come il regista Pier Paolo Pasolini e lo scrittore Alberto Moravia? Una vita piena di passioni, amicizie profonde e frequentazioni di intellettuali come Elsa Morante, sofferenze, sullo sfondo della grande storia del Novecento. Dalle mattinate passate nella bottega di Umberto Saba al dialogo ininterrotto con Eugenio Montale, alle correzioni alle poesie del Nobel Eugenio Montale, all’avventura della psicoanalisi, con Edoardo Weiss e Ernst Bernhard, di cui fu uno dei primi pazienti. Questo libro racconta un Bazlen inedito, partendo da Trieste che lasciò a 32 anni senza farvi (forse) più ritorno.
Cristina Battocletti, nata a Udine, è vice responsabile della “Domenica” del Sole 24 Ore. Critica cinematografica, ha pubblicato il suo primo testo, selezionato al Grinzane Cavour, nei "Racconti del sabato sera" (Einaudi, 1995). Ha scritto a quattro mani la biografia di Boris Pahor, "Figlio di nessuno" (Rizzoli, 2012), Premio Manzoni come miglior romanzo storico. Nel 2015 ha pubblicato il romanzo "La mantella del diavolo" (Bompiani), che ha vinto il Premio Latisana per Il Nord Est ed è stato finalista ai Premi Bergamo, Rapallo e Asti.
mercoledì 14 febbraio 2018
giovedì 8 febbraio 2018
venerdì 26 gennaio 2018
Prefazione al volume di Tommaso Romano, "Profili da Medaglia" (Ed. Thule)
NELLE ACQUE DELLA MEMORIA
di Gennaro Malgieri
Nuotando nelle
rigeneranti acque della Memoria, Tommaso Romano ha incontrato se stesso
sfiorando o conversando con le nobili anime a cui si è accostato nel corso
della sua vita intensa e feconda. E tra i flutti non ha mancato di decifrare, a posteriori, il senso di quegli incontri che hanno
segnato il suo percorso esistenziale e spirituale. Ne è venuto fuori non un
volume di ricordi punteggiati da aneddoti più o meno interessanti – e sarebbe
forse bastato – bensì la sintesi di un’iniziazione ragionata, meditata,
interiorizzata che ha avuto a protagonisti i personaggi biografati, le loro
opere e molte letture che di lato hanno “invaso” la formazione intellettuale
dell’autore.
Sicché noi oggi leggiamo
in questi ritratti (che sono qualcosa di più, a mio avviso, forse brevi saggi o
brandelli di riflessioni veicolati da spiriti non comuni quando non
eccezionali) la visione di un’epoca tramandataci da uomini che, trapassati da
tempo, hanno indicato un cammino che non s’è interrotto con la loro dipartita.
Al contrario, quel cammino che non sempre, quando erano in vita, siamo stati in
grado di decifrare adeguatamente, adesso, al culmine di una disperante crisi
spirituale, morale, religiosa e civile che avvolge come non mai l’Occidente, ci
appare lineare e luminoso per chi voglia davvero, al di là di ogni abusata
retorica, non soltanto tenersi in piedi tra cumuli di macerie, ma mostri anche
l’intenzione di rimuoverle.
Romano, con squisita
sensibilità e rara capacità di sintesi, mette insieme in queste pagine ispirate
e corroboranti per chi le legge, personaggi – o sarebbe meglio definirli più
propriamente “anime” – con cui ha intessuto colloqui più o meno intensi a
margine di un’attività editoriale improntata alla riscoperta della vitalità
della Tradizione come fondamento di una Weltanschauung propria
anche dell’inconsapevole “anarca” (nel senso jüngeriano) che voglia
“attraversare il bosco” per sottrarsi all’inquinamento della modernità.
Ma sarebbe banale
definire semplicemente “editoriale” (per quanto nobile) il prevalente intento
di Romano perseguito fin da giovanissimo e protrattosi, senza soluzione di
continuità, fino a lambire l’età matura, quella nella quale i consuntivi
prevalgono sui progetti che, a dire la verità, ancora animano i pensieri e
riempiono le giornate dell’“inventore” di Thule, riferimento per la mia
generazione (e non soltanto) dalla quale si sono dipanati nell’arco di quasi
mezzo secolo indirizzi culturali sostanziati da iniziative che hanno del
miracoloso, considerando la scarsità dei mezzi che tuttavia non ha mai impedito
al promotore di esercitare un’influenza decisiva sullo schieramento oppostosi
al pensiero unico, al relativismo culturale, al determinismo materialistico.
E sono questi i temi,
declinati ovviamente, com’è naturale che sia, in maniera diversa, che hanno
legato Romano ai personaggi ricordati e messi in fila in questo libro.
Ogni capitolo un
ritratto; ogni ritratto una fonte di ispirazione e di interpretazione della
critica della modernità; ogni suggestione appesa al ricordo, un po’ di
rinfrescante vento che ritorna rendendo il deserto che abitiamo meno arido, o
almeno così ci appare.
La denuncia della
“desertificazione” delle idee e della lotta che per esse nel passato neppure
tanto lontano è stata combattuta, infatti, sembra emergere come l’intento
precipuo che questa silloge intende evidenziare, al di là del pur lodevole
omaggio ai personaggi ritratti.
Se si pone mente,
infatti, al ruolo svolto da pensatori, ideologi, scrittori, poeti, politici che
non hanno esitato a vivere il Novecento controcorrente, mettendosi
consapevolmente contro il sentire comune ed incuranti dell’impopolarità
decretata dalle polizie del pensiero universale, si resta allibiti nel
constatare come il “fronte” controrivoluzionario (così l’avremmo definito tempo
fa) si sia dissolto in Italia non meno che in tutto l’Occidente, salvo la
presenza di oasi minoritarie tuttavia slegate e distanti, incapaci di nutrire
un progetto unitario di rinascita spirituale. Il nichilismo ha colpito anche
laddove non immaginavamo: al tempo in cui i compagni di viaggio di Romano,
temprati da cimenti intimi e collettivi, in un secolo nel quale gli incendi
diventavano rivoluzioni e le rivoluzioni mutavano – nel bene e nel male – i
destini dei popoli, la decadenza si faceva sentire più forte sino agli odierni
esiti.
E da questo nichilismo si
esce soltanto riprendendo i sentieri interrotti indicatici da uomini i cui
scritti, unitamente alle loro storie, risultano indispensabili per scacciare il
demone della solitudine che ci possiede, lenito dagli inutili gadget della
modernità che hanno sostituito il pensiero con l’idiozia di massa, il
comunitarismo con la virtualità dei sentimenti, le conquiste dell’anima con
sesso e denaro.
Ci danniamo l’anima – ma
non sempre siamo capaci di ammetterlo – impegnandoci nella costruzione di
paradisi artificiali nei quali l’assenza del sacro, la chiusura alla metafisica
ed alla contemplazione come azione alimentano il vuoto fino a dilatarlo a
dismisura. E questa condizione rimanda alle premonitrici indicazioni di tanti
dei personaggi tratteggiati da Romano: Eliade e Jünger, de Tejada e Panunzio,
Evola e Del Noce, Gianfranceschi e Cattabiani, Allegra e Fergola che hanno
esercitato un magistero che resterà indelebile per chi vorrà sottrarsi alla
dissoluzione di ciò che è stato creato per restare, per non essere devastato
dall’ingordigia umana, sfregiato dalle pulsioni elementari incontrollate che la
“società affluente” nullifica proprio cancellando la memoria, riconnettendosi
ad un’idea di storia che si è imposta più di due secoli fa con la più mostruosa
delle rivoluzioni, la più sanguinaria, la madre di tutti i postriboli
dell’ideologia materialistica che con scientifica criminalità ha relegato in un
immenso “cattiverio” la dignità di larga parte del mondo.
E’ dal 1789 che l’umanità
ha perduto la sua fisionomia. E da allora non mancano coloro che in ogni tempo,
e con alterne fortune, si battono per la restaurazione dell’ordine e del
diritto naturale. Gli epigoni sono qui.
Almeno quelli che Romano
ha avuto la fortuna di incontrare condividendo con loro pensieri lunghi
abbastanza da tramandarceli perché possano vivere e svilupparsi tra le nostre
mani e tramandarli alle generazioni future. Il fine è quello di suscitare una reazione,
simile a quella adombrata tanti anni fa nelle pagine di un libro di Jacques
Ploncard d’Assac nel quale ne tesseva l’apologia. E’ di questa reazione che
abbiamo bisogno. E non è un caso se anche vecchi manipolatori del pensiero e
propagandisti del crimine comunista si stanno riconvertendo forse sulla base di
spunti tratti dalle opere di molti degli uomini che appaiono in questi esercizi
di ammirazione che Romano ci propone.
Ritrovo qui, oltre ai
personaggi citati, tanti amici e maestri, da Almirante a Rauti, da Vettori a
Oxilia, da Tangheroni a Staglieno, da Accame a D’Asaro, da Vitale a Boschiero
che hanno accompagnato, insieme con molti altri, la mia vita. Perciò sento
questo libro un po’ mio e credo che alla stessa maniera lo avverta la
generazione alla quale appartengo. Sono grato anche per questo a Romano che in
maniera sobria ed elegante, con lo stile che gli è proprio, insomma, ha fornito
non un elenco agli immemori, ma ha regalato una carezza affettuosa ed
intelligente a quanti molto hanno dato e poco vengono ricordati, mentre dai
loro libri, discorsi, pensieri e frammenti di vita potrebbero attingere giovani
disorientati che non sanno più da che parte volgere lo sguardo.
Se questo libro è
l’ideario di una generazione, ancor di più è l’autobiografia intellettuale (ed
intima) di un generoso interprete della Tradizione. Tommaso Romano non deve
dimostrare più niente.
Basterebbe di lui dire
che, da quando indossava i pantaloni corti, ha avuto la fortuna – per ragioni
familiari, incontri giusti e proficui, sensibilità personale – di incamminarsi
sulla lunga strada che lo ha portato a riconoscere la verità nella milizia
scomoda volta ad affermare costantemente le ragioni della “buona battaglia”. E
ad essa ha dedicato tutta la sua esistenza come scrittore, editore, animatore
culturale, attivo protagonista della vita pubblica civile e politica. Non si è
fatto mancare niente, insomma, Romano. Neppure questa refrigerante nuotata
nella Memoria per trarre da essa nuove energie in vista di altre e più ardue, affascinanti
avventure. Nel nome della Tradizione, naturalmente.
giovedì 11 gennaio 2018
Intervista di Simonetta Trovato sul Giornale di Sicilia
Di seguito la mia intervista rilasciata a Simonetta Trovato sul Giornale di Sicilia di oggi su Palermo Capitale della Cultura.
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