"L'anima
non esiste nel tempo. L'anima resiste al tempo", così Vittorio Sgarbi in
un aureo libretto edito da Bompiani nel 2004 "Dell'Anima", che
insieme all'altro "Il bene e il bello", del 2002, formano per me, unitamente
"Viaggio sentimentale nell'Italia dei desideri", una trilogia che
sostanzia il cammino nella bellezza e per la bellezza di Sgarbi.
Già nella Prefazione, Sgarbi declina, con
intelletto d'amore, la vibrazione che
il libro-viaggio propone, cominciando con il ricordare il grande Roberto Longhi
e la sua lezione.
I fedeli simulacri che sono i dipinti, dice subito Sgarbi, non sono i semplici
oggetti di una possibile "divulgazione" dell'arte - parola che
giustamente definisce "orribile" – dato che "Illustrare un
quadro non deve essere spiegazione di quello che si vede, ma rivelazione di
quello che si vede". Una sintesi mirabile che è insita nell’avventura
d'anima, spirituale incontro dell'occhio con "l'emozione del vedere".
Il rigore e
la libertà di Sgarbi sono il segno delle sue opere e indagini critiche che ci
fanno andare oltre, senza subire la pedanteria degli accademici della
ripetizione e dell’inconcludenza, con la gioia della scoperta di opere e luoghi
con volo d'aquila, che hanno nella verità e qualità della parola il loro centro
irradiante e che ha nell'occhio il suo centro, quasi a ricapitolare valori e a
farli sentire vivi, mai mummificati nel gergo falsamente esoterico degli
specialisti dell'ovvio, incapaci di sentire oltreché di ben vedere. Sgarbi
diviene così una sorta di demiurgo, violentemente contestato dai mestatori
dell'egemonia, artista egli stesso, come diceva di sé Oscar Wilde.
Dal Nord
all'estremo sud, da Bolzano col monumento a Battisti e alla Vittoria ideato da
Marcello Piacentini, Sgarbi ha idealmente iniziato questo straordinario periplo
di bellezza, conoscenza, curiosità, cultura. Ecco perché, proprio a proposito
del monumento di Bolzano, Sgarbi scrive: Riusciremo mai a considerarlo, tale
monumento, per i suoi indiscutibili pregi artistici, in maniera non più
ideologizzata da una parte e dall'altra? «Potrebbe forse essere presto,
tuttavia lo si preservi e lo si valorizzi come merita».
E da Bolzano
a Trieste, con le ville Palladiane e le lezioni applicate di Vitruvio, il viaggio continua nelle Maniere padane, sulla scia di
"alti modelli". Ecco così gli Autori cari riletti dal professore
Sgarbi, volti così vitalmente carichi di pathos e di ammaestramenti, di
profondità e di gioia, di sofferenza e di ricerca inesausta, di una perfezione
che non è esito di formalismo sterile. Ecco Pontorno e Rosso Fiorentino,
Giorgione "campione perfetto di equilibrio e maniera", Dosso Dossi e
"La luce di Dio e nella natura" di Giovanni Bellini, a cui da anni
Sgarbi dedica studi e riflessioni di grande pregnanza e assoluta originalità.
Ecco
l'alchimia nell'opera di Parmigianino, la metafisica luce nella carnalità di
Caravaggio, che dipinge ciò che vede non ciò che pensa, e cento altre
notazioni, sempre a corde tese, quasi a rintracciare per ogni artista
genealogia e lasciti di eredità, stile e vicende in una vertigine che è
risultante di pienezza, sfida e umiltà. Ecco ancora la zona del Po, ovvero un
simbolo civile di dignità e memoria, anche familiari, che la tragedia
dell'alluvione fa riscoprire nell'antico autentico e nel solidale comunitario.
Il libro è
anche "scrittura di sé" per Sgarbi, è l'iniziazione, è la scelta
esistenziale. Sgarbi è un coraggioso paladino alieno dal conformismo del
politicamente corretto.
Un uomo e un
grande critico, vulcanico e controverso sicuramente come è Sgarbi, che sa
evidenziare, da par suo, ancora, l'ordine e l'amore per il patrimonio
monumentale di una città come Rovigo, la funzione pubblica delle grandi
collezioni private (come la propria collezione Cavallini-Sgarbi), il ciclo
mirabile di un Cima da Conegliano e la valorizzazione di luoghi e di artisti
abitanti in centri lontani dal clamore con ricche testimonianze dalle tarsie
della Certosa di Pavia, a Cremona, a Guastalla, dell’amata Piazzetta di cui nel libro riannoda biografia
ed opere, all'emozione per il calore, un umano,
troppo umano del Corregio, in una esperienza definita sconvolgente, fino a
San Severino Marche, centro di cui Sgarbi è stato Sindaco, pensando che fosse
possibile trasmettere insieme alla politica anche valori culturali, come nel
passato fecero Croce e Gentile, evidenziando che il Rinascimento marchigiano
non può, certo, ridursi solo al pur grande Raffaello.
Ecco ancora i
luoghi d'anima che Sgarbi sente propri a cominciare da Fermo, Troia, Lucca, con
Jacopo della Quercia e la perfetta unicità delle monumento sepolcrale ad Ilaria
del Carretto. Parole scolpite da Sgarbi con pagine che veramente danno la
misura della sua Opera e di quelle caratteristiche nodali che egli indica come
"solitudine a distanza".
E se l’
identità ha una storia profonda, anche di immaterialità, il tempo ha pure la
sua nobiltà, che restauri innovativi balzano e corrompono, come il paesaggio
"stuprato" delle pale eoliche.
Luoghi si
diceva, in cui genio umano, "paradiso dove natura e architettura stanno
insieme", l'impresa classicamente contemporanea e atemporale, stanno
insieme al contempo, di Buzzi e Solari Scarzuola di Montegabione , a
Montecitorio del nostro Ernesto Basile, alla villa Ferson di Capri, il Museo di
Capua, alla Basilicata, alla Ragusa che ha restituito dalla damnatio memoriae gli affreschi di Duilio Cambellotti nella Casa
della Prefettura, rievocando, in Sgarbi l'incontro con Sciascia e Bufalino in
pagine terse, colte, come pure avviene per la "lettura" di altre
opere significative e non sempre note della Liguria.
Amore e comprensione vanno sempre insieme, scrive Sgarbi, è questo il
sigillo di un viaggio d'arte e nell'arte, nella nostra storia, cultura e idea
di vita troppo minimalizzata che, nella varietà, fa veramente emergere la
grandezza rivelata delle città e delle contrade di tutta Italia. Più forte di
ogni retorica patriottarda è l’ethos , la grandezza. E in ciò risiede la vera
unità della nostra Patria.