mercoledì 28 ottobre 2015

Inaugurazione della mostra di Elio Corrao "Oltre lo specchio"

Sabato 31 ottobre 2015 alle ore 18.00 presso la galleria d’Arte Studio 71 di Via Fuxa n. 9, Palermo sarà presentata la mostra personale di Elio Corrao:
oltre lo specchio 
Le oltre venti opere presenti in mostra denotano una sensibilità non comune di Elio Corrao, pittore schivo, ma non troppo, affabulatore e determinato. E’ certamente uno dei pochi artisti che non ti parla del suo lavoro se non stimolato. Non usa peraltro parlare di sé come spesso accade in questo momento storico dell’arte nel quale poco e male si “costruisce” sia in termini culturali che politici per lasciarlo in eredità alle future generazioni e di ciò non potranno  che rimproverarci. Sicuramente nuovi “mostri” di saccenza li illumineranno su questi anni bui della storia dell’arte.
Di questa mostra scrive Vinny Scorsone nella sua presentazione in catalogo: … “La stanza oltre lo specchio  si dilata e comprime al variare di luci e tagli, toni e linee.
In essa, presenze discrete, sospese in un piano astrale, si lasciano vivere.  Raccontano le loro storie, dense e solitarie o rapite dalla corrente del fiume, in una scomposizione di eventi e forme che riscrive l’ambiente e la sequenza temporale.
Nei quadri, interni ed esterni dialogano perennemente in una consapevolezza di imprescindibilità gli uni dagli altri. Ogni dipinto è la rappresentazione della dualità dell’animo umano. Il vetro, che si pone come confine tra conscio ed inconscio, specchia e sovrappone stralci di vita ricordata a libere intemperanze artistiche. Il giardino interiore diviene giardino d’inverno in una “scapigliatura” pittorica che muove sensazioni ed emozioni. Una nuova vegetazione prende forza generando creature amorfe,  radici che camminano e sollevano il piano vitale in un continuo alternarsi di andamenti tortili e retti secanti i vari piani dell’esistenza.” …
La mostra alla galleria d’arte Studio 71 Via Vincenzo Fuxa n. 9, Palermo rimarrà aperta fino al 21 novembre 2015 nel seguenti orari da lun. a ven. dalle 16.30 alle 19.30. Testi in catalogo di Tommaso Romano e Vinny Scorsone. Pubblichiamo il testo di Tommaso Romano: Clicca qui per leggere

martedì 27 ottobre 2015

L’apocalisse e la Gloria

Comincio a pubblicare con questo post i capitoli di un mio studio dal titolo: L’Apocalisse e la Gloria. Settimanalmente e fino a tutto dicembre proporrò le mie considerazioni sul tempo attuale di crisi, non solo ovviamente economica, e sul collasso del mondo che si trova già in una aperta dimensione apocalittica. Tuttavia sappiamo i credenti  nell’unico Cristo, che alla dissoluzione seguirà la Gloria della Parusia, e cioè il ritorno di Gesù Cristo in terra per i salvati e i giusti.  Clicca qui per leggere la prima parte

   

lunedì 26 ottobre 2015

Nuovo canale Romano Thule Video

Da pochi giorni è attivo il canale Youtube "Romano Thule Video", che raggruppa ad oggi oltre 70 video di interventi di Tommaso Romano, presentazioni di libri Thule, eventi ed approfondimenti. Presto tanti nuovi video, vi invitiamo a visitare il canale ed iscrivervi cliccando sul seguente link:

https://www.youtube.com/channel/UCBznDndCboWJYgVlH5SlK5w/videos

domenica 25 ottobre 2015

Vito Mauro, "Continuum" (CO.S.MOS)

di Marcello Falletti di Villafalletto

Si potrebbe dire che questo corposo testo di Vito Mauro vada senz’altro a completare, se non a supportare l’im­pegno di Maria Patrizia Allotta, con il quale abbiamo aperto questa rassegna; infatti, raccoglie tutti gli scritti e gli innumerevoli impegni letterari e cultu­rali svolti dal prof. Tommaso Romano in oltre quarant'anni di proficua attività. “Un omaggio corale” ad un uomo, professionista serio, che merita ampiamente di essere onorato, non solamente per quello che è, ma per quello che è da sempre e per quello che continuerà ad essere in futuro: sicuramente ancora provvi­do, ricco e valido. Un personaggio granitico, poliedrico, consapevole del suo potenziale umanitario e culturale del quale la nostra società continua ad avere profondamente bisogno.
«Di fatto Romano si può considerare il più lucido e intellettual­mente più interessante rappresentante di questo significativo filone della cultura siciliana. Da qui il suo giudizio sul nulla della condi­zione culturale del presente in modo severo da lui stesso espresso: “Perso il timor di Dio” l’uomo contemporaneo non vuole neppure - prometeicamente - farsi Dio, ma annullarsi nell’insignificanza, an­negare nel non-senso, nell’ovvio, verso una sorta di trasformazione antropologica”. Aggiungo io purtroppo in negativo.
Un ritratto, se non esaustivo, certamente fedele, della identità intellettuale di Romano, non facile da sintetizzare, stante la sua “co­smicità”, si può estrarre da quanto egli dice, quasi autobiografica­mente, di Vincenzo Mortillaro nel volume Contro la rivoluzione la fedeltà. E' forse l’opera migliore da lui scritta, né può ritenersi un caso: “Letterato e poeta, fondatore, direttore, animatore prima e dopo il ’60 di riviste e giornali e molteplici responsabilità amministrative... critico acerrimo dei nuovi rivoluzionari del 1860, della conquista garibaldina e del Nuovo Regno d’Italia di marca piemontese liberale e coloniale, fu costantemente ammirato, deriso e invidiato per il suo rigore e la sua visione del mondo e della storia”.
Mortillaro era un cultore del passato. Aristotele ha scritto che la memoria è negata agli schiavi. Apprezzo Romano soprattutto perché in quanto cultore del passato vuole restituirci la memoria che il presen­te ci nega. Il fine ultimo del suo impegno culturale vuole essere libe­ratorio per tutti. Il mondo che ci fa sognare è infatti un mondo senza schiavi.» ha scritto Antonino Buttitta, nella appropriata e apprezza­bile introduzione. Possiamo aggiungere che questo mondo “senza schiavi”, oggi sembra essere più aleatorio che nei tempi passati. Sono cambiate le forme di schiavitù, sono diventate multiformi, impressio­nanti, devastanti e deleterie: eppure continuiamo a parlare di libertà. Sbandierandola ai quattro venti di una società sorda, ammutolita, ip­notizzata, formalmente scandalizzata ma che continua a considerarla un sogno ideale, dal quale però rischia di non svegliarsi mai.
Quindi ben venga il volume di Vito Mauro su Tommaso Romano, - anzi sulla “bibliografia di e su” - figura morale e intellet­tuale di un siciliano puro, assurto a livello cosmologico, perché usci­to dai confini di quell'affascinante isola mediterranea, si è fatto voce, non di “colui che grida nel deserto” di una modernità compiacente, soggiacente, anestetizzata, permissiva di un libertinismo (forse anche più libertinaggio), scambiato per libertà; diventata ancora più for­ma di schiavitù nuova, ammirata, vissuta incondizionatamente, ma elevatasi a richiamo, avvertimento, monito del quale le generazioni future dovrebbero farne approdo sicuro.
Potrebbe sembrare scontato recensire un lavoro di questa autore­vole portata ma sono certo che qualunque appassionato di cultura, testi e di ricerca intellettuale saprà apprezzarne il valore altamente utile e necessario; oltre che a scoprirne la granitica personalità di Tommaso Romano, non solamente personaggio costantemente im­pegnato, ma fortemente motivato ad essere ancora, lungamente, par­te attiva di questa nostra, sempre più, svagata società.

da: “L’Eracliano”, Scandicci n°7-9, 2015

sabato 24 ottobre 2015

Maria Patrizia Allotta, "Nel buio aspettando l’alba, speranza che non muore" (Ed. Limina Mentis)

di Marcello Falletti di Villafalletto

L’Autore non vuole tracciare una biografìa, alquanto inopportuna, del noto personaggio palermitano, ampia­mente conosciuto non solamente nel circostanziato spazio isolano; altrettan­to a livello nazionale ed europeo, ma riassumere alcuni aspetti del suo pensiero e del coerente operare che lo hanno da sempre contrad­distinto. Certamente non si potrà neanche condensare in poche pa­gine l’intensa poliedrica attività di un personaggio, come Tommaso Romano, che ha ancora tanto da dare, fare e proporre.
A riguardo, la curatrice, nel Proemio, “Tommaso Romano: la scrittura della vita” scrive: «Trovare le parole esatte per definire e ben rappresentare l’unicità di una qualsivoglia creatura è già compito delicato e difficile. Se si desidera poi cogliere l’essenza e catturare la sostanza di un uomo dalle forme volubili, riluttante ad ogni pri­gionia, ribelle a qualsiasi classificazione, sempre in divenire anche se fortemente ancorato alla sua radicale coerenza, allora l’opera diviene ancora più complessa». Già: “eterogenea, articolata” potrebbero esse­re definizioni sostanzialmente riduttive e costrittive per la multifor­me attività che diviene fondamentalmente vitale per l’impegno che Tommaso prosegue, persegue e continua a sviluppare con indomita energia, quasi adolescenziale. Dove altri si arresterebbero, lui ripren­de, prosegue, saldamente ancorato, verso un futuro che sembra aver sempre più bisogno di energie di questo tipo: come le sue.
«Volere, inoltre, riassumere le qualità esistenziali attraverso con­sueti termini, soliti aggettivi e luoghi comuni di chi, per natura, consueto, solito e comune non lo è affatto, l’impresa diventa laboriosa - prosegue l’Allotta -. In tal senso, allora, raccontare Tommaso Romano, facile certamente non è.
La prima difficoltà nasce dalla scelta delle parole per restitui­re un ritratto che ben lo rappresenti. Infatti, utilizzando un lessico semplice e ordinario si potrebbe mortificare la complessa formazione culturale, il suo ampio sapere e le sue astruse conoscenze; di contro, l’adozione di un linguaggio altisonante sminuirebbe certamente la sua innata semplicità e naturalezza, spesso però mascherata -inspie­gabilmente - da un atteggiamento altezzoso e schivo, in taluni casi arrogante e superbo, alieno, comunque, da ogni volgarità, banale esteriorità e mondanità.
La seconda difficoltà è data, invece, da un ostacolo sicuramente più insidioso: sintetizzare chiaramente il suo operato considerando il dove, il quando e il perché della sua “contemplattività”.
Ecco allora che ogni etichettatura non rende, ogni classificazione appare impropria, ogni recinto vincolante; così come le stesse coor­dinate spazio-temporali non reggono data la simultaneità plurima del suo agire.
Ricapitolare, dunque, il profilo sinuoso di Tommaso Romano, che si esprime a cascata, per cicli e in diverse direzioni, ma soprattut­to, ricostruire la foga e l’impeto del suo fare, la volontà di realizzare, la capacità di progettare e la passione per il contemplare, lievemente smarrisce».
Riassumere in poche pagine un percorso di vita, per quanto avanzato, tutto ancora in divenire, non sarebbe facile, tanto meno delinearlo con semplici e mortificanti parole. Quindi, ha fatto otti­mamente Maria Patrizia Allotta, a presentare questi orientamenti di speranza, che non possono morire mai, dai quali emerge l’anima, più profonda dell’uomo, del poeta, dello scrittore, del critico, saggista, bibliografo, storico, politico e altro ancora che esorta: “Viviamo nella e per la Verità”. Facendo di questo assunto un programma esisten­ziale, eternamente durevole; tanto da farsi universalmente pedagogo non solamente di pensiero ma di vita stessa; vivendola intensamen­te, profondamente, attivamente come ha da sempre fatto Tommaso Romano. E oggi, più che mai, la sua sollecitazione a certi uomini di potere, comando, amministrazione, organizzazione, dovrebbe diven­tare monito nella mente, programma del cuore, affinché realmente quella “politica che ha bisogno dell’anima”, diventi espressione in­cessante di più elevate considerazioni: quelle che scaturiscono chia­ramente dall’insegnamento evangelico e cristiano.
Fin dal primo capitolo: L’essenzialità della parola viva, delinea, energicamente un percorso vitale che ripercorre quel “mosaicosmo”, (personale suo neologismo), presentandocelo: unico e irripetibile che attraversa un’intera esperienza umana che possiamo, dovendolo riscoprire, non solamente irripetibile ma cosmologico nella sua in­controvertibile unicità.
Argomenti filosofici, pensieri pedagogici, maturati in queirin­tima contemplazione che ardiscono verso un’attività sinergicamen­te produttiva, ben articolata, tanto da poter essere presentati come mimési che diventa via via esegesi di un’escatologia tanto necessaria all’umanità, che oggi ne ha smarrito il vero e autentico significato.
«Occorre riscoprire il legame vero, quella “consanguineità” col Mistero - scrive Tommaso Romano, verso la fine del settimo capitolo (Dalla morte di Dio al Dio vivo) - quell’amicizia che non tradisce e che vigilando ci libera, quel magistero che risiede nel prezioso dono dei sacramenti e dei comandamenti. Vivere Cristo è il più alto degli atti e degli esempi cui lo sforzo della nostra vita può tendere»; non più mera filosofia ma elevata teologia che proietta ad una elevata co­noscenza, verso la quale dovrebbe, deve tendere ogni essere umano. Ciò significa vivere “nella e per la Verità”, cominciando da quaggiù quel percorso, a volte scabroso, difficile, per proseguirvi, da ora in poi, eternamente.

da: “L’Eracliano”, Scandicci n°7-9, 2015

lunedì 12 ottobre 2015

L'itinerario di Tommaso Romano... e il viaggio continua

Nei Quaderni del sigillo Cultura, n°7, 2015 è uscita la raccolta di testi critici dedicati nel tempo a Tommaso Romano dal nostro critico, scrittore e artista Antonino Russo.

Clicca qui per leggere 

mercoledì 7 ottobre 2015

Presentazione del libro "Quei dolori ideali"

Venerdì 9 ottobre  alle ore 17.30
Galleria d’Arte Studio 71
Via Vincenzo Fuxa, 9 - 90143 Palermo
presentazione del volume di Aldo Gerbino


Quei dolori ideali 
150 ed oltre: d’una Italia Unita.
Voci dalla Sicilia

incontri a cura di Vinny Scorsone

Interventi di:
Gonzalo Alvarez García,
Tommaso Romano
Antologia di Letture a cura di Anna Sica
con il violino di Sergio Mirabella

Salvatore Sciascia Editore


lunedì 5 ottobre 2015

Sgarbi e la Trilogia d'Anima

"L'anima non esiste nel tempo. L'anima resiste al tempo", così Vittorio Sgarbi in un aureo libretto edito da Bompiani nel 2004 "Dell'Anima", che insieme all'altro "Il bene e il bello", del 2002, formano per me, unitamente "Viaggio sentimentale nell'Italia dei desideri", una trilogia che sostanzia il cammino nella bellezza e per la bellezza di Sgarbi.
Già nella Prefazione, Sgarbi declina, con intelletto d'amore, la vibrazione che il libro-viaggio propone, cominciando con il ricordare il grande Roberto Longhi e la sua lezione.
I fedeli simulacri che sono i dipinti, dice subito Sgarbi, non sono i semplici oggetti di una possibile "divulgazione" dell'arte - parola che giustamente definisce "orribile" – dato che "Illustrare un quadro non deve essere spiegazione di quello che si vede, ma rivelazione di quello che si vede". Una sintesi mirabile che è insita nell’avventura d'anima, spirituale incontro dell'occhio con "l'emozione del vedere".
Il rigore e la libertà di Sgarbi sono il segno delle sue opere e indagini critiche che ci fanno andare oltre, senza subire la pedanteria degli accademici della ripetizione e dell’inconcludenza, con la gioia della scoperta di opere e luoghi con volo d'aquila, che hanno nella verità e qualità della parola il loro centro irradiante e che ha nell'occhio il suo centro, quasi a ricapitolare valori e a farli sentire vivi, mai mummificati nel gergo falsamente esoterico degli specialisti dell'ovvio, incapaci di sentire oltreché di ben vedere. Sgarbi diviene così una sorta di demiurgo, violentemente contestato dai mestatori dell'egemonia, artista egli stesso, come diceva di sé Oscar Wilde.
Dal Nord all'estremo sud, da Bolzano col monumento a Battisti e alla Vittoria ideato da Marcello Piacentini, Sgarbi ha idealmente iniziato questo straordinario periplo di bellezza, conoscenza, curiosità, cultura. Ecco perché, proprio a proposito del monumento di Bolzano, Sgarbi scrive: Riusciremo mai a considerarlo, tale monumento, per i suoi indiscutibili pregi artistici, in maniera non più ideologizzata da una parte e dall'altra? «Potrebbe forse essere presto, tuttavia lo si preservi e lo si valorizzi come merita».
E da Bolzano a Trieste, con le ville Palladiane e le lezioni applicate di  Vitruvio, il viaggio continua nelle Maniere padane, sulla scia di "alti modelli". Ecco così gli Autori cari riletti dal professore Sgarbi, volti così vitalmente carichi di pathos e di ammaestramenti, di profondità e di gioia, di sofferenza e di ricerca inesausta, di una perfezione che non è esito di formalismo sterile. Ecco Pontorno e Rosso Fiorentino, Giorgione "campione perfetto di equilibrio e maniera", Dosso Dossi e "La luce di Dio e nella natura" di Giovanni Bellini, a cui da anni Sgarbi dedica studi e riflessioni di grande pregnanza e assoluta originalità.
Ecco l'alchimia nell'opera di Parmigianino, la metafisica luce nella carnalità di Caravaggio, che dipinge ciò che vede non ciò che pensa, e cento altre notazioni, sempre a corde tese, quasi a rintracciare per ogni artista genealogia e lasciti di eredità, stile e vicende in una vertigine che è risultante di pienezza, sfida e umiltà. Ecco ancora la zona del Po, ovvero un simbolo civile di dignità e memoria, anche familiari, che la tragedia dell'alluvione fa riscoprire nell'antico autentico e nel solidale comunitario.
Il libro è anche "scrittura di sé" per Sgarbi, è l'iniziazione, è la scelta esistenziale. Sgarbi è un coraggioso paladino alieno dal conformismo del politicamente corretto.
Un uomo e un grande critico, vulcanico e controverso sicuramente come è Sgarbi, che sa evidenziare, da par suo, ancora, l'ordine e l'amore per il patrimonio monumentale di una città come Rovigo, la funzione pubblica delle grandi collezioni private (come la propria collezione Cavallini-Sgarbi), il ciclo mirabile di un Cima da Conegliano e la valorizzazione di luoghi e di artisti abitanti in centri lontani dal clamore con ricche testimonianze dalle tarsie della Certosa di Pavia, a Cremona, a Guastalla, dell’amata  Piazzetta di cui nel libro riannoda biografia ed opere, all'emozione per il calore, un umano, troppo umano del Corregio, in una esperienza definita sconvolgente, fino a San Severino Marche, centro di cui Sgarbi è stato Sindaco, pensando che fosse possibile trasmettere insieme alla politica anche valori culturali, come nel passato fecero Croce e Gentile, evidenziando che il Rinascimento marchigiano non può, certo, ridursi solo al pur grande Raffaello.
Ecco ancora i luoghi d'anima che Sgarbi sente propri a cominciare da Fermo, Troia, Lucca, con Jacopo della Quercia e la perfetta unicità delle monumento sepolcrale ad Ilaria del Carretto. Parole scolpite da Sgarbi con pagine che veramente danno la misura della sua Opera e di quelle caratteristiche nodali che egli indica come "solitudine a distanza".
E se l’ identità ha una storia profonda, anche di immaterialità, il tempo ha pure la sua nobiltà, che restauri innovativi balzano e corrompono, come il paesaggio "stuprato" delle pale eoliche.
Luoghi si diceva, in cui genio umano, "paradiso dove natura e architettura stanno insieme", l'impresa classicamente contemporanea e atemporale, stanno insieme al contempo, di Buzzi e Solari Scarzuola di Montegabione , a Montecitorio del nostro Ernesto Basile, alla villa Ferson di Capri, il Museo di Capua, alla Basilicata, alla Ragusa che ha restituito dalla damnatio memoriae gli affreschi di Duilio Cambellotti nella Casa della Prefettura, rievocando, in Sgarbi l'incontro con Sciascia e Bufalino in pagine terse, colte, come pure avviene per la "lettura" di altre opere significative e non sempre note della Liguria.
Amore e comprensione vanno sempre insieme, scrive Sgarbi, è questo il sigillo di un viaggio d'arte e nell'arte, nella nostra storia, cultura e idea di vita troppo minimalizzata che, nella varietà, fa veramente emergere la grandezza rivelata delle città e delle contrade di tutta Italia. Più forte di ogni retorica patriottarda è l’ethos , la grandezza. E in ciò risiede la vera unità della nostra Patria.