giovedì 2 luglio 2015

La discutibile "Storia dei Musulmani di Sicilia" di Michele Amari e il giudizio divergente di Henri Bresc

di Tommaso Romano

Grazie ala generosità del valoroso medioevalista Franco D’Angelo, che ringrazio, sono venuto in possesso di un frammento di articolo, tratto dal quotidiano “La Repubblica”, dedicato alle riflessioni del grande storico francese Henri Bresc amico della Sicilia, della sua civiltà e delle sue affascinanti vicende, docente emerito di storia medievale a Nanterre, Parigi, e autore di volumi capitali sulla nostra storia isolana. Bresc, come pochissimi altri dopo Michele Amari e i suoi Tomi sulla Storia dei musulmani di Sicilia (Ed. Le Monnier, Firenze 1854 – 1872) rilasciò delle dichiarazioni non conformi alla solita e trita “vulgata” che si ripete in gran parte delle opere di ricostruzione parziale e a volte settarie ricche di avventure fantastiche raccontate dall’Amari, sulla “civiltà” impareggiabile del periodo arabo della dominazione in Sicilia. Si sa che gli stereotipi si ripetono spesso per motivi ideologico-religiosi. Amari fu, oltre che strenuo unitarista, un deciso antiborbonico, anticlericale fra i più risoluti, laicista dichiarato. E ciò condizionò – volutamente consapevole il pur grande storico – il suo più che positivo giudizio sui mussulmani in Sicilia. Per converso si demonizzavano le “tirannidi” preunitarie.
Lo stesso mito di Federico II andrebbe opportunamente riletto, oltre i luoghi comuni e le agiografie. Piace a questo punto ricordare l’opportuna revisione sul regno di Federico III (Rubbettino) ad opera di Pasquale Hamel, storico di valore e autenticamente libero.
Ma ecco ciò che limpidamente afferma Bresc e che la cultura storica e quella divulgativa (di cui sono pieni gli scaffali delle nostre librerie e biblioteche) riguardanti i nostri avvenimenti non tiene in giusto conto, per una rivisitazione che dovrebbe far riflettere anche alla luce degli avvenimenti dell’ora presente: “La sua passionalità [di Amari] o porta a visioni romantiche, tanto suggestive quanto costruite a tavolino, a cominciare dalla mitizzazione dell’Islam, visto come regno della perfezione, dove tolleranza, splendore ed eternità si fondono”. Anche sul tema della nazione italiana e sulla sua genesi, sempre riferendosi ad Amari, Bresc aggiunge: “E anche l’idea di una nazione Italia che, senza smarrire la propria lingua, ogni tanto risorge dalle sue ceneri, è fragile. Come dimenticare che per secoli in Sicilia si è parlato solo greco e arabo e che solo nel 1200 è il dialetto italico? Anche la discontinuità fra bizantini e musulmani non regge, visto che le due dominazioni i punti di continuità sono tanti. Infine in Amari emerge il culto del condottiero, di una democrazia violenta, una sorta di libertà armata di matrice medioevale; un certo machismo lo porta a demonizzare popoli per lui “effeminati”, bizantini e greci appunto”.
Concetti e valutazioni chiare da praticare come piste autorevoli per ulteriori approfondimenti.
Certo sarebbe disonestà intellettuale sminuire in toto Michele Amari che, anche per Bresc giustamente rimane “Grande”. Ma la sua opera e la divulgazione delle sue tesi non possono ripetersi pappagallescamente senza gli approfondimenti, ancora tutti da rivedere e riconsiderare attraverso gli archivi storici e la bibliografia internazionale. Con la serena certezza che molto in tal modo, potrebbe ricevere nuova luce. E che l’immenso Vico, non errava di certo con i suoi corsi e ricorsi e con la sua teoria della storia ideale eterna.  La storia ci insegna, basta trovare gli onesti che la studino senza le lenti affumicate, deformate e false delle ideologie.

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