lunedì 5 ottobre 2015

Sgarbi e la Trilogia d'Anima

"L'anima non esiste nel tempo. L'anima resiste al tempo", così Vittorio Sgarbi in un aureo libretto edito da Bompiani nel 2004 "Dell'Anima", che insieme all'altro "Il bene e il bello", del 2002, formano per me, unitamente "Viaggio sentimentale nell'Italia dei desideri", una trilogia che sostanzia il cammino nella bellezza e per la bellezza di Sgarbi.
Già nella Prefazione, Sgarbi declina, con intelletto d'amore, la vibrazione che il libro-viaggio propone, cominciando con il ricordare il grande Roberto Longhi e la sua lezione.
I fedeli simulacri che sono i dipinti, dice subito Sgarbi, non sono i semplici oggetti di una possibile "divulgazione" dell'arte - parola che giustamente definisce "orribile" – dato che "Illustrare un quadro non deve essere spiegazione di quello che si vede, ma rivelazione di quello che si vede". Una sintesi mirabile che è insita nell’avventura d'anima, spirituale incontro dell'occhio con "l'emozione del vedere".
Il rigore e la libertà di Sgarbi sono il segno delle sue opere e indagini critiche che ci fanno andare oltre, senza subire la pedanteria degli accademici della ripetizione e dell’inconcludenza, con la gioia della scoperta di opere e luoghi con volo d'aquila, che hanno nella verità e qualità della parola il loro centro irradiante e che ha nell'occhio il suo centro, quasi a ricapitolare valori e a farli sentire vivi, mai mummificati nel gergo falsamente esoterico degli specialisti dell'ovvio, incapaci di sentire oltreché di ben vedere. Sgarbi diviene così una sorta di demiurgo, violentemente contestato dai mestatori dell'egemonia, artista egli stesso, come diceva di sé Oscar Wilde.
Dal Nord all'estremo sud, da Bolzano col monumento a Battisti e alla Vittoria ideato da Marcello Piacentini, Sgarbi ha idealmente iniziato questo straordinario periplo di bellezza, conoscenza, curiosità, cultura. Ecco perché, proprio a proposito del monumento di Bolzano, Sgarbi scrive: Riusciremo mai a considerarlo, tale monumento, per i suoi indiscutibili pregi artistici, in maniera non più ideologizzata da una parte e dall'altra? «Potrebbe forse essere presto, tuttavia lo si preservi e lo si valorizzi come merita».
E da Bolzano a Trieste, con le ville Palladiane e le lezioni applicate di  Vitruvio, il viaggio continua nelle Maniere padane, sulla scia di "alti modelli". Ecco così gli Autori cari riletti dal professore Sgarbi, volti così vitalmente carichi di pathos e di ammaestramenti, di profondità e di gioia, di sofferenza e di ricerca inesausta, di una perfezione che non è esito di formalismo sterile. Ecco Pontorno e Rosso Fiorentino, Giorgione "campione perfetto di equilibrio e maniera", Dosso Dossi e "La luce di Dio e nella natura" di Giovanni Bellini, a cui da anni Sgarbi dedica studi e riflessioni di grande pregnanza e assoluta originalità.
Ecco l'alchimia nell'opera di Parmigianino, la metafisica luce nella carnalità di Caravaggio, che dipinge ciò che vede non ciò che pensa, e cento altre notazioni, sempre a corde tese, quasi a rintracciare per ogni artista genealogia e lasciti di eredità, stile e vicende in una vertigine che è risultante di pienezza, sfida e umiltà. Ecco ancora la zona del Po, ovvero un simbolo civile di dignità e memoria, anche familiari, che la tragedia dell'alluvione fa riscoprire nell'antico autentico e nel solidale comunitario.
Il libro è anche "scrittura di sé" per Sgarbi, è l'iniziazione, è la scelta esistenziale. Sgarbi è un coraggioso paladino alieno dal conformismo del politicamente corretto.
Un uomo e un grande critico, vulcanico e controverso sicuramente come è Sgarbi, che sa evidenziare, da par suo, ancora, l'ordine e l'amore per il patrimonio monumentale di una città come Rovigo, la funzione pubblica delle grandi collezioni private (come la propria collezione Cavallini-Sgarbi), il ciclo mirabile di un Cima da Conegliano e la valorizzazione di luoghi e di artisti abitanti in centri lontani dal clamore con ricche testimonianze dalle tarsie della Certosa di Pavia, a Cremona, a Guastalla, dell’amata  Piazzetta di cui nel libro riannoda biografia ed opere, all'emozione per il calore, un umano, troppo umano del Corregio, in una esperienza definita sconvolgente, fino a San Severino Marche, centro di cui Sgarbi è stato Sindaco, pensando che fosse possibile trasmettere insieme alla politica anche valori culturali, come nel passato fecero Croce e Gentile, evidenziando che il Rinascimento marchigiano non può, certo, ridursi solo al pur grande Raffaello.
Ecco ancora i luoghi d'anima che Sgarbi sente propri a cominciare da Fermo, Troia, Lucca, con Jacopo della Quercia e la perfetta unicità delle monumento sepolcrale ad Ilaria del Carretto. Parole scolpite da Sgarbi con pagine che veramente danno la misura della sua Opera e di quelle caratteristiche nodali che egli indica come "solitudine a distanza".
E se l’ identità ha una storia profonda, anche di immaterialità, il tempo ha pure la sua nobiltà, che restauri innovativi balzano e corrompono, come il paesaggio "stuprato" delle pale eoliche.
Luoghi si diceva, in cui genio umano, "paradiso dove natura e architettura stanno insieme", l'impresa classicamente contemporanea e atemporale, stanno insieme al contempo, di Buzzi e Solari Scarzuola di Montegabione , a Montecitorio del nostro Ernesto Basile, alla villa Ferson di Capri, il Museo di Capua, alla Basilicata, alla Ragusa che ha restituito dalla damnatio memoriae gli affreschi di Duilio Cambellotti nella Casa della Prefettura, rievocando, in Sgarbi l'incontro con Sciascia e Bufalino in pagine terse, colte, come pure avviene per la "lettura" di altre opere significative e non sempre note della Liguria.
Amore e comprensione vanno sempre insieme, scrive Sgarbi, è questo il sigillo di un viaggio d'arte e nell'arte, nella nostra storia, cultura e idea di vita troppo minimalizzata che, nella varietà, fa veramente emergere la grandezza rivelata delle città e delle contrade di tutta Italia. Più forte di ogni retorica patriottarda è l’ethos , la grandezza. E in ciò risiede la vera unità della nostra Patria.

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