di Tommaso Romano
I cento anni della presa del potere in
Russia di Lenin, la fine dello zarismo e l'uccisione di Nicola II e della
famiglia imperiale, la misconosciuta e taciuta resistenza dei
"Bianchi" all’Armata Rossa fino al 1922, lo stalinismo e i gulag,l'assassinio di Lev Trockij da parte dei sicari di Stalin i
fatti del 1956 e del 1968 (con le repressioni violente di Ungheria e
Cecoslovacchia), la guerra fredda e Krusciov, Breznev e Gorbaciov con la Perestrojka,
l’implosione dell’URSS e la caduta del muro di Berlino, ci interrogano e non
interrogano, se non per le stucchevoli rievocazioni della Rivoluzione, nel
silenzio assordante su un centinaio di milioni di morti, prezzo vero di una
utopia negativa al potere nel segno del comunismo, dello Stato ateo dichiarato,
della delazione elevata a virtù, dei "confortevoli lager", non meno
duri di quelli della barbarie nazionalsocialista.
Aveva ragione Edmund Wilson nel suo libro Stazione Finlandia a indicare in Lenin
il culmine del pensiero radicale di 150 anni precedenti.
Un processo di idee e alle idee, allora. Che
ha in Marx il suo profeta, insieme al suo sostenitore materiale e collaboratore
Engels. Ma che ha radici già con l'avvento della Rivoluzione industriale e con
l'Idealismo di Hegel, il pensiero ateo e anticristiano di Furbach e, più in
fondo, con l'Utopia del mondo nuovo da Moro a Campanella (le cui statue furono poste davanti al Cremlino) è, se vogliamo, con tutto il processo che
caratterizza la nascita e la genesi della gnosi
spuria (Ennio Innocenti), l'idea, cioè, di recidere e misconoscere: legami
sacri e originari con il cosmo e con il Dio creatore, per l'uomo e la società considerati
come assoluti.
Fra i meriti delle mie Edizioni Thule, dal
1971, ascrivo molte opere sul comunismo, su Solzenicyn e il dissenso, sugli
effetti dell'ateismo e sulla secolarizzazione in Occidente, sulla resa morale,
spirituale degli intellettuali, ma
ancor di più ricordo un libretto di poche e dense pagine pubblicato in traduzione
italiana (di Paolo Castruccio), risalente al 1978, del maestro del
Giusnaturalismo Cattolico spagnolo, Francisco Elias de Tejada (1918-1978), dal
titolo Il mito del marxismo, che
pubblicai nel 1979. Testo illuminante che dimostra come, confrontandosi con il
linguaggio dello stesso Marx e malgrado le scatenate furie del pensatore di
Treviri "contro i seminatori di utopie e contro coloro che, ai suoi occhi,
ancora erano avvolti dalle nebbie cangianti dei miti", in realtà Marx
costruì il più poderoso fra i miti negativi della storia umana, scandagliandosi
contro i Saint-Simon, Owen, Fourier, quali creatori irrealistici, portatori di
"un senso puramente utopistico", sostenitori di idee antiscientifiche
e antiprogressiste, non in linea con il
senso della storia: la costruzione, ritenuta ineluttabile, dalla società
ugualitaria socialista, contro cui si scaglia nel Manifesto comunista del 1848.
Scrive, a proposito, testualmente Marx che
quegli utopisti prima ricordati, erano "alchimisti sociali", digiuni
di elaborazioni scientifiche, di scienza sociale, di storia dialetticamente
materialista, di non essere cioè "rappresentati degli interessi del
proletariato, che nel frattempo era sorto come prodotto storico. Alla pari dei
razionalisti - continua Marx - questi tre autori non si propongono di
emancipare una determinata classe, bensì tutta l'umanità. E, come costoro, essi
pretendono di instaurare il regno della ragione e della giustizia eterna".
Una fantastica utopia moralistica,
che servirà per denigrare, ideologicamente, i "sognatori" e i
"riformisti".
Fu Proudhon invece ad appellare come
realmente utopistico il pensiero di Marx e il suo socialismo scientifico che egli
fa partire dal Platone della Repubblica
fino alla Icarìa di Cabet. Scrive sul
tema Proudhon: "La prima cosa che mi mise in guardia contro l'utopia
comunista, e di cui i suoi stessi fautori non sospettano, è l'affermazione che
la comunità sia una delle categorie dell'economia politica, da questa pretesa
scienza che il socialismo ha la missione di combattere, e che io ho qualificato
descrizione delle pratiche dei proprietari. Come la proprietà è il monopolio
elevato al quadrato così la comunità è l'esaltazione dello Stato, la
glorificazione della polizia. E come lo Stato si stabilì, nella quinta epoca,
quale reazione contro il monopolio, così pure, nella fase in cui siamo
pervenuti, il comunismo si appresta a dare scacco matto alla proprietà. Il
comunismo, quindi, riproduce, benché in senso inverso, tutte le contraddizioni
dell'economia politica. Il suo segreto consiste nel sostituire all'individuo
l'uomo collettivo in tutte le funzioni sociali: produzione, scambio, consumo,
educazione e famiglia. E poiché questa nuova evoluzione non concepiva e né
risolve nulla, porta fatalmente, come quelle precedenti, all'iniquità e alla
miseria. Così, dunque, il destino del socialismo è completamente negativo;
l'utopia comunista, uscita dal dato economico dello Stato, è la controprova
delle «routine» tipica dei proprietari. Sotto questo punto di vista non difetta
d'utilità, e giova alla scienza sociale, come alla filologia giova l’opposizione
del nulla al qualcosa. Il socialismo è una logomachia”, una disputa, cioè, sull’uso
e il valore delle parole che si basa più sulla parola che sui fatti.
Marx si scaglia, inoltre, contro i
filosofi che si "sono limitati a interpretare il mondo in diverse maniere;
si tratta ora - dice - di cambiarlo".
Come notò de Tejada, Martin Buber, Schwonke
e Jean Servier ascrivono Marx tra gli utopisti, in quanto Marx
"profetizzava escatologicamente un paradiso, il paradiso socialista",
quale esito di una profezia, come effettivamente capì Popper quando scrisse che
"la ricerca economica di Marx è del tutto subordinata alla sua profezia
storica". Anche Nicolas Berdjaev scrisse che la profezia di Marx
pretendeva di realizzarsi nella storia, in uno spazio e in un tempo determinati
e lo stesso percorso fece Rodolfo Mondolfo quando acutamente ebbe a scrivere
che "l'emotività positiva riferita al marxismo consiste, nella sua forma
più esaltante, nella mitificazione e nell’utopismo. Il marxismo è in tal modo
trasformato in una dottrina di salvazione, non meno escatologica per essere
intramondana, in un messianismo, in un messaggio profetico che, attraverso
un'apocalisse rivoluzionaria, promette la redenzione liberatrice".
La
Novità di Marx, aggiunge il de Tejada, è "quella che trasforma Marx in
un eccezionale utopista, è il fatto che la sua utopia non è fuori dal mondo,
bensì nel mondo; che non è una fantasia, bensì una certezza; che è realtà quasi
tangibile, senza detrimenti di illusione o di sogno. Che è, insomma, una
utopia, con un «topos» chiaro: l'intera terra; che è un’ucronìa (mancanza o
assenza di tempo) con un tempo indubitabile: al termine del processo dialettico
delle lotte di classe e forse dopo l'apocalisse della rivoluzione. Utopia ed
ucronìa evidenti, perché Marx giunge ad esse prescindendo da alate fantasie, e
adoperando il metodo scientifico che assicura il suo materialismo storico. La
spiegazione consiste nella novità con cui Marx mette in relazione il razionale
col reale, l'idea con la «praxis»", in quanto Marx colloca il pensiero
dietro al fatto. Non altro è il significato del materialismo storico rispetto
al suo padre e predecessore: l’Idealismo hegeliano. La filosofia è posteriore
alla «praxis». Marx rovescia i presupposti dei precedenti movimenti sociali e
pone come fondamenti gli schemi dell'economia e nella Deutsche Ideologie, e scriverà
infatti: "Il comunismo si distingue da tutti i movimenti finora esistenti
in ciò, che esso capovolge il fondamento di tutti i finora esistenti rapporti
di produzione e di scambio, e tratta tutti i presupposti naturali per la prima
volta coscientemente quali prodotti dell'uomo finora esistente, lo spoglia
della sua dignità naturale, e lo sottomette al potere degli individui
unificati. La sua impostazione è perciò essenzialmente economica".
Marx è un rivoluzionario nelle idee (nella
vita fu un borghese, sostanzialmente), che vede il mutamento totale, violento,
radicale della realtà da abbattere con la rivolta proletaria, a costo di
lastricare di morti il suo cammino. E la rivoluzione, infatti, "esige
perentoriamente l'utopia", che, ancora afferma de Tejada, viene concepita
"come qualcosa di sovraumano, perché nel suo fondo più scuro è il rigetto
dell'ordine divino che dispose la vita terrena in valle di lagrime, vi è
l'aspirazione delirante di creare urgentemente un paradiso quaggiù, affinché
l'uomo possa conquistare la felicità per se stesso, senza alcuna necessità di
Dio (…) La rivoluzione è la secolarizzazione della felicità, e la sostituzione
della rivelazione divina con un mito confezionato dalla ragione umana".
Per Marx il "peccato originale" è
il capitalismo che è da abbattere senza se e senza ma: "I comunisti
sdegnano di occultare le loro idee e propositi. Essi dichiarano francamente che
i loro fini non possono essere raggiunti senza la violenta distruzione
dell'intero ordine sociale, quale è esistito finora. Non a torto le classi
dominanti tremano dinanzi alla minaccia di una rivoluzione comunista. In questa
i proletari non hanno da perdere che le proprie catene. Essi hanno un mondo da
guadagnare" (Die Frühschrftene,
560).
Fu questa la molla delle rivoluzioni
innescate già nel XIX secolo e perfettamente realizzate nel XX in varie parti
del mondo, sotto il pensiero egemone di Marx che, sulla sua scia,
profetizzavano il paradiso terreno dell'umanità, una "escatologia
paradisiaca della storia", una fede laicissima e atea, che scatenò le
élites rivoluzionarie, contagiando masse fino alla rivoluzione finale del 1917,
intesa come redenzione, sogno e sole dell'avvenire.
Una creazione, disse Roger Garaudy, continua dell'uomo da parte dell'uomo, che
affonda negli immortali principii del
1789. Nell'esito politico della Rivoluzione russa "l’intero leninismo
altro non ha fatto che soppiantare il concetto sociologico di classe col
concetto politico di partito, visione certo estremamente efficace in campo
pragmatico" (de Tejada).
La sostituzione dell'individuo all'uomo
collettivo in tutte le funzioni sociali, come voleva Marx, si aggiunse al
volere imperioso del Partito Comunista al potere in URSS, con il braccio armato
di polizia ed esercito che, in nome della dittatura del proletariato, imposero
la dittatura delle oligarchie del Partito, elevando il terrore a sistema di
governo che produsse cento milioni di morti, gulag, lo sterminio dei Cosacchi,
le fosse di Katyn, veri e propri "crimini contro l'umanità", di cui però
si ricordano in pochi, non essendovi stato alcun nuovo "tribunale di
Norimberga". Del resto, lo sterminio di nobili, proprietari, dissidenti e
borghesi indicati come classe da soppiantare era stato già autorevolmente
indicato da Marx ed è stato attuato nei
paradisi comunisti di Cambogia, Cina, Vietnam ecc.
La "felicità per tutti" fu la
tragedia dello sterminio, il carcere, i ritmi forzati della pianificazione
economica, con la complicità morale di parti politiche cospicue dell'Occidente,
che ancora oggi non ricorda i Bukowski, Zinoviev, Pluse, Sacharov, Sinjavskij,
Daniel e soprattutto il lucidissimo Aleksandr Solzenicyn (a cui Piero Vassallo
dedicò, con Thule, un saggio esemplare nel 1974), che era nato nel 1918 e che si
spense, dopo il Nobel, nel 2008. Solzenicyn scrisse La ruota rossa, dieci volumi di settemila pagine, sconosciute
praticamente in Italia, tranne Lenin a
Zurigo e Agosto 1914, che come ha
testimoniato il figlio Stefan, sono stati la missione di tutta una vita dell’eroico
dissidente e autore del fondamentale Una
giornata di Ivan Deninovic, ora
riedito da Einaudi e di Arcipelago Gulag
(Meridiani Mondadori) che si uniscono a un altro testo finale dello scrittore Due secoli insieme, edito a Napoli da
Controcorrente.
Scrisse A. Nemzer che "la più grande
sofferenza di Solzenicyn era la vittoria della Rivoluzione sulla Russia",
da cui derivò poi la lotta culturale e linguistica della Russia, tornata ortodossa,
contro la Rivoluzione. Lotta all’infuocata
lingua della Rivoluzione, che aveva sovvertito il linguaggio e le categorie
stesse della logica, con il suo lessico di odio che l’impoverì notevolmente e
tentò con ogni mezzo la standardizzazione con un continuo ricorso alla
propaganda, al “realismo” dell’arte, al psichiatrico “linguaggio del cervello”.
Per tali ragioni nel 1990 Solzenicyn pubblicò
un Dizionario russo dell'arricchimento
linguistico, in cui documentò l'abbandono di uno straordinario lessico per
un linguaggio burocratico imposto dal partito comunista.
Nel 1974 accogliendo un Premio, Solzenicyn
affermò: "Abbiamo già imparato che l'abbattimento violento degli Stati, i colpi
di mano rivoluzionari non aprono la via al radioso avvenire ma a una rovina
ancora più grave, un arbitrio e una violenza peggiori di prima. E se pure è
destino che nel nostro futuro vi siano rivoluzioni salvifiche, devono essere
rivoluzioni morali".
L'egemonia culturale, teorizzata in salsa
italiana ed europea da Gramsci, si è realizzata pienamente nella rimozione
collettiva dei crimini del comunismo, nel “romanticismo” sessantottesco, nelle
rievocazioni, mostre come quella della Fondazione Feltrinelli, che non dedica
una parola ai dissidenti e ai Gulag, anche nel testo 1917-2017. Una storia europea chiamata rivoluzione.
È come se si parlasse, oggi, di
archeologia, di guerre puniche, riguardo la Rivoluzione d'ottobre; le
"burocrazie amministrative del comunismo italiano" scrive Costanzo
Preve, filosofo marxiano, si sono riciclate come "personale politico di
gestione dell'attuale americanizzazione culturale", nel mondo unipolare.
È stato Robert Conquest che negli anni ‘70
si cominciò a documentare il costo umano dei crimini del comunismo, fino a
giungere al famoso Libro nero, per arrivare all'attuale stagnazione del
processo veritativo sul comunismo, come prassi politica e ideologia da
indagare.
Una "logica" che è pure iscritta
nell'ambito delle dinamiche del turbocapitalismo e di cui, in alcune parti,
Marx fu pure osservatore acuto, ma, tuttavia, profeta a tutto tondo della
tragedia che unisce il comunismo al nazismo alla inumanizzante globalizzazione,
fatta di consumatori schiavi del politicamente corretto, della pubblicità,
delle illusioni che sono poste come più importanti della realtà.
Leonid Andrew nel 1919 scrisse che
bisognava essere dei selvaggi per rimanere impassibili davanti alla condotta
disumana dei bolscevichi, che giunse - come scrisse Stefan Zweig - fino alla
dimensione mistica del culto di Lenin che con Stalin è il vero, rivoluzionario
esecutore del Marx-pensiero, non un degenerato interprete.
Secondo lo storico inglese Peter Burke
ogni tentativo di rovesciare un ordine ingiusto finisce per creare uno
ugualmente ingiusto. È ciò che avvenne con la strategia attuata della menzogna
elevata a sistema, posta in atto dai bolscevichi che, per imporsi nel 1922 sui
Bianchi - che non avevano però veri capi né una solida idea alternativa - sudarono
non poco, e come poco si sa, non volendolo documentare. Lenin effettivamente
riuscì, come diceva, a subordinare la morale alla lotta di classe per approdare
al peggior statalismo centralizzato che è, in sostanza, come disse Vassilij
Grossman, nient'altro che servaggio.
Ciò che inizio il 9 gennaio 1905 e si
concluse nel 1989, è in realtà una parentesi che vede comunistizzato
nell'ateismo, nel laicismo e nell’indifferentismo di massa, il sogno
propagandato, con anestesie mentali, di una umanità livellata, ora in mano ai
potenti della finanza, al posto dei potenti comunisti del partito unico.
Una dinamica totalitaria che continua, una
eterogenesi dei fini, direbbe Augusto Del Noce, che non si è fermata alla fine
della vecchia "Grande Russia" (che non era affatto una potenza,
all'epoca, arretrata come ha dimostrato Boris Mertinov), e che ancora mira con
la rivoluzione antropologica in atto, a costruire un ipotetico e irreale
paradiso in terra, l’uomo nuovo, come allora i bolscevichi e come lavorano oggi
i progressisti illuminati che, esaltando i "mitici" diritti –
presunti - individuali, in realtà eliminano la persona e distruggono ciò che
resta della civiltà.
Testo
integrale dell’intervento svolto all'hotel Federico II per il Rotary Palermo Nord e il Rotary Baia dei Fenici che hanno organizzato l'incontro sul tema "Il destino di una rivoluzione: Ottobre Rosso", il 28 Novembre 2017.
Correlatori: Pasquale Hamel, Aurelio Pes e la Presidente del Club Palermo Nord, che
ringrazio, Anna Maria Corradini
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