di Tommaso Romano
Per l’occasione della prima edizione del Premio Francesco Carbone – Experimenta, presieduto da Aldo Gerbino e che si svolge alla Reggia-casina di caccia di Ficuzza domenica 24 Settembre 2017 alle ore 16:00, ripubblichiamo un testo di Tommaso Romano (che è fra i premiati di questo prestigioso Premio, organizzato dall’Istituzione Culturale Francesco Carbone, egregiamente presieduta da Vincenzo Viscardi, con la supervisione della Galleria Studio 71 ben diretta da Francesco M. Scorsone) tratto da Ammirate biografie. Incontri e profili di siciliani e non, con nota introduttiva di Anna Maria Ruta, edito da Arianna (Geraci Siculo) nel 2010. In seguito pubblicheremo integralmente il n. 92 della rivista “Spiritualità & Letteratura” dedicato integralmente a Carbone.
Dobbiamo all’azione congiunta e alla volontà di Nicolò D’Alessandro e di Nicola Bravo (attento e generoso operatore culturale e d’arte con l’Associazione e Galleria L’Altro - Artecontemporanea di Palermo) e anche, se è lecito, al sottoscritto per la parte realizzativa, la pubblicazione del volume - curato impeccabilmente da D’Alessandro - Francesco Carbone. Antologia di saggi critici e altre occasioni 1960/1990, ospitato al numero 28 della Collana Ercta della Provincia Regionale di Palermo (2007), che dirigevo con Francesco Musotto e che ho fondato.
Questo libro è un omaggio doveroso, non di maniera e meno che mai encomiastico in senso nostalgico, a Francesco Carbone, (Cirene di Libia, 1923-Palermo 24 dicembre 1999).
Ma è anche un volume di bella mole (360 pagine fitte) che raccoglie molti interventi critici - specie d’arte e letteratura e alcuni teorici - di Carbone, assemblati con impegno storico-documentario e intelletto d’amore da D’Alessandro, autentico e geniale continuatore, erede ideale di Carbone, che egli conobbe nel 1963 al Circolo Rinascita di Agrigento e di cui divenne fervido e convinto sodale, artefici - tutti e due - della riconsiderazione umana e critica di un grande poeta del Futurismo “agreste” siciliano, Giacomo Giardina. Carbone, su invito dell’ISSPE, proprio su Giardina, tenne una memorabile relazione al Convegno Il Futurismo, la Sicilia del 1996 ora edita nell’omonimo volume, che ho curato con Umberto Balistreri, l’anno dopo.
Leggendo e studiando questa densa Antologia si avverte la convergente intesa fra Francesco e Nicolò, esempio di un binomio d’amicizia e d’arte di altissimo significato e valore.
Curioso è il fatto che ambedue siano siciliani nati in Libia.
Disegnatore straordinariamente efficace, personalissimo e inconfondibile nel segno, D'Alessandro autore del lungo disegno “La Valle dell'Apocalisse” di oltre 83 metri, è operatore culturale e sociale, insegnante, narratore di simboli e parole, analista sagace, fautore di completi volumi storico-critici relativi alla situazione e alle prospettive dell’arte in Sicilia. D’Alessandro ha scritto il saggio introduttivo al volume in questione, organico ed esaustivo, introducendo così il “percorso astorico” delle “occasioni critiche” di Carbone donate con generosità a molti artisti, ma anche riproducenti sempre le idee, le costanti, il furore e la febbre (per dirla con Zagarrio) di una scrittura pensante e proponente, orma non violenta (al pari di quella di Danilo Dolci) di questo personaggio anomalo, senza velleità accademiche, che ha lasciato nella radicalità ideativa una pratica d’arte intesa come passione e renovatio della vita.
Carbone è, infatti, paragonabile, nel suo magistero artistico ed umano, solo a se stesso. Per l’ampiezza degli interessi e delle curiosità critiche è, invece, accostabile solo a Maria Accascina. Se si leggono di questa gli interventi sul primo Novecento artistico e di Carbone quelli sul secondo Novecento in Sicilia, si avrà un repertorio ampio e assolutamente rigoroso e documentato di tutto un secolo.
Pittore sperimentatore in proprio, Carbone fu antropologo e storico a suo modo, sapendo unire, specie con l’impresa ciclopica e d’autore della Casa Museo-Biblioteca di Godranopoli, passione, rigore e libertà come dovrebbe sempre essere la militanza culturale, che spesso si piange addosso, piuttosto che incidere e produrre degnamente aspettando soltanto benefici e prebende dal potere pubblico quasi come un dovere e non si capisce il perché.
Così fu tutta intera l’esistenza di Carbone.
Oltre a indubbie intuizioni e pratiche letterarie e d’arte nonché giornalistiche che iniziò a Buenos Aires e continuò fra le colonne della prestigiosa «Fiera Letteraria», i cui articoli vanno sicuramente ristampati, il nostro è stato un profeta e un teorico di ciò che è avanti e oltre, nell’arte di “pratiche sparse”. Lettore delle cose e degli uomini del suo tempo, del sociale inteso come comunità aperta al futuro contro l’isolamento dell’uomo e cosciente del suo passato, specie del patrimonio morale del mondo contadino e pastorale. Fu anche fondatore di diversi musei nella provincia palermitana di etnoantropologia, proprio rispondendo concretamente alla riscoperta non solo folklorica del territorio. Sono su questa linea le fondazioni, le gallerie, i gruppi, le riviste create da Carbone, che D’Alessandro puntualmente narra come avventura intellettuale e, dice, come specchio di un concezione che insieme è etica ed estetica, unicum riassumibile in un metodo comportamentale.
Vanno allora citate le direzioni e animazioni di gallerie importanti della nuova tendenza d’arte visiva a cominciare dalla galleria Il Chiodo di Ciro Li Vigni e Filippo Panseca e poi alla Ricasolina, a Tempo Sud e all’azione critica ed estetica attorno alla Libreria Nuova Presenza (diretta da Bartolomeo Manno, che è pittore assai originale, unitamente al raffinato libraio Piero Onorato) alla Comunità di Base Roccabusamhra, ai fogli Presenza
Sud (1968), al movimento del Riciclaggio, con il fedele amico e singolare artista Giusto Sucato a Misilmeri, a Marineo con Ciro Spataro.
Mediatore di linguaggi, come lo definisce giustamente D’Alessandro, Carbone fu uomo di ponti e di libertà. Ho trovato un suo testo nella rivista trapanese «Libeccio» di Dino Grammatico dell’aprile 1962 e uno su Giacomo Giacomazzi nella moderna storiografia siciliana a testimonianza - se ve ne fosse bisogno - della libertà di ricerca ma anche di incontri e rapporti con apparentemente distanti protagonisti e interpreti di cultura.
Non dimentico certo - senza citazioni sterili - il credito che mi diede sempre, pur governando dal 1994 alla Provincia di Palermo, in una parte politica opposta alla sua; non mancò di essere sempre presente tutte le volte che lo invitavo con la capacità e ferma riflessione libera e problematica che contraddistingueva i suoi ragionamenti e una buona dose di ironia che pure ben possedeva, unitamente al distillato dei suoi consigli che non dimentico.
Carbone è stato in quaranta e più anni di magistero socratico, il perno del rinnovamento contro l’immobilismo, come ha notato acutamente Sergio Troisi.
Sostenitore di una cultura aperta e a tutti non appannaggio di élites chiuse, non un lamento del sud, né un fatalistico e incapacitante chiudersi critico così, come al contrario notava nell’immortale romanzo di Tomasi di Lampedusa, tanto da fargli affermare di avere «un fatto personale fra noi e il Gattopardo».
Possiamo dire che le sue teorie dell’arte spaziano da lezioni apprese da autori che vanno da Marx a Eliot (che spesso citava, ammirandolo), pensando all’arte come mobilità del mondo, e comprendendo e sviluppando il pensiero di Claude Lévi Strauss, Mac Luhan, Jonesco, Marcuse, Braudel, Munari e la ricerca segnica e grafica.
Uomo schierato contro tutte le mafie, auspicò la funzione vivificante della cultura.
Diceva: «Sarebbe necessario che la politica fosse essa stessa cultura e non una facoltà o attribuzione rimessa al potere per l’attuazione di una generica politica culturale».
Se le “libere scritture visuali” e gli “assemblaggi materici” furono le ultime sue esperienze teoretiche e concrete, fu sempre l’impegno al centro del suo messaggio laborioso: «conta l’impegno - diceva - la consapevolezza di volersi determinare e collocare, in uno spazio di valori totali e non ai margini del proprio tempo».
L’impresa di una vita intera spesa per la causa della cultura stava simbolicamente per concludersi proprio allo scadere del secolo Ventesimo.
Tornano alla mente, allora, due scritti di Carbone emblematici per questa breve testimonianza. Il primo dell’aprile 1963 che cosi recitava: «Io sono dentro i miei limiti di espressione, come contenuto nelle dimensioni di una vicenda comune che potrebbe concludersi senza l’apporto di qualche traccia esteriore capace di durare.
Sia in arte che in letteratura, forse non è sempre e soltanto il risultato raggiunto ciò che conta in ultima analisi».
Il secondo scritto è del 1998, un anno prima della morte ed è uno stupendo documento autobiografico a futura memoria morale, una lettera a se stesso, che vale molte più parole di quelle che si potrebbero dire ancora.
Eccone il testo: «Non avrei mai sospettato o immaginato che un giorno avrei dovuto scrivere una lettera a me stesso, né in quale occasione ciò sarebbe accaduto. Ora lo so (infatti la sto scrivendo), ed è una circostanza certamente insolita, particolare: quella che tra qualche mese mi vedrà come soggetto, protagonista di un evento votato al riconoscimento delle mie attività svolte in tanti campi della cultura e dell’arte, del sociale, come in altri settori dai confini imprecisati ma sempre rispondenti ai miei sofferti bisogni del pensare e del fare, dell'amare.
Così questa lettera mi riempie di sensazioni nuove, a volte molto strane, perché scriversi, scrivere a se stesso è come scoprire per la prima vota ‘‘il doppio” del proprio essere, un senso profondo di come in realtà sei fatto.
da sinistra: Giusto Sucato, Francesco Carbone e Albano Rossi |
Ed è un compito che non può appartenere a nessun genere di letteratura, non è un racconto né un diario, ma qualcosa che può comprendere sia l’uno che l’altro, superandoli subito. Lo ha considerato una volta Tolstoj e anche Roland Barthes nel Piacere del testo. Ciò nonostante, mi sto scrivendo, lasciando scorrere nella mia mente e avanti gli occhi una infinità di sequenze della mia vita legata alle cose che ho fatto e inciso nella memoria in una evocazione a volte serrata, a volte a rilento, come azionate da una moviola non elettronica ma magica, in cui il sogno, cioè gli ideali della vita sottendono, condizionano ogni evento.
Ne deriva tra l’altro, l’immagine di un intellettuale che tanto si è dato alla cultura, alle aspirazioni degli altri, alla vita e ai sogni degli altri e molto poco a se stesso. Eppure questo per me è un pregio, un inestimabile valore, perché una grande verità è quella di considerare che noi siamo fatti dagli altri. Gli altri non sono soltanto vicino a noi, ma dentro di noi. Così penso agli innumerevoli artisti, poeti, scrittori, teatranti, critici, attori e tanti altri ai quali mi sono dedicato, i quali ho cercato di capire e di aiutare in tutti questi anni.
Il maggiore evento per me è quello di non saper fare, di poter fare al riguardo nessun bilancio: tutto è stato e continua ad essere come in tante aree imprecisate di straordinaria sospensione, dove nessun codice comune identifichi la natura degli eventi, il loro spessore reale, la loro entità formale.
Così, autentici amici affettuosi, con una apposita manifestazione, ora vogliono ricordare, e ricordarmi, ciò che in questi lunghi anni di molteplici attività, io ho ideato e realizzato: ne sono infinitamente grato e commosso, e non dimenticherò per tutta la vita il loro gesto, anche perché questa festa, questo particolare riconoscimento, avvengono in un momento particolare della mia vita così provata dalle sofferenze fisiche e psicologiche.
Ma avviene anche in un momento dei miei sentimenti così profondamente immersi nei sogni di un affetto e di un amore».
Una lezione di stile, di passione, di competenza che è anche in tutta l’operatività creativa e laboriosa di Francesco Carbone, un magistero di libertà e amore che anche un libro, di cui abbiamo detto, ci dona come memoria viva e che la nuova Istituzione Culturale a lui dedicata continuamente valorizzerà.
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