di Tommaso Romano
Non era facile in 170 pagine di
testo effettivo, potere scrivere un libro a partire dal viceré Caracciolo fino
ai giorni nostri, sulla Sicilia dal punto di vista politico-sociale. Ci ha
messo mano Francesco Cangialosi, già vice segretario dell’Assemblea Regionale
Siciliana con un denso ed agevole saggio dal titolo L'isola dei passi perduti, che è come recita il sottotitolo una Storia istituzionale dell'Autonomia
Regionale Siciliana, (Nuova IPSA Editore, Palermo, 2015), con una bella
copertina tratta da un disegno di Alfonso Amorelli del 1952.
Impresa ardua ma riuscita nella
sintesi efficace e nelle tesi esposte, che - grosso modo - ricollegano l'Autore
al suo autorevole e colto prefatore, Pasquale Hamel che, apprezzando l'opera,
in realtà declina il suo manifesto
antiautonomista e antiregionalista, salvando Don Sturzo e le sue stesse personali
ascendenze (oggi Hamel è iscritto al Partito Radicale). Tuttavia, oltre le
cronache già note, Cangialosi tesse la sua idea di Sicilia con personale
acribia, non disdegnando (anzi…) di intervenire con nette valutazioni e
giudizi, sul terreno delle dispute. Al giudizio positivo e certamente
condivisibile sul Caracciolo e il suo tempo, si passa in rassegna un secolo
fino all'unificazione, con chiare note sulla Costituzione del 1812 e
altrettanto pregnanti valutazioni sulla post-unità citando, ad esempio, D’Ondes
Reggio e le sue forti e veritiere parole. Le tristi e non sempre
"felicissime" vicende siciliane successive, la prima guerra, il
fascismo lontano da ogni autonomismo e regionalismo con l'idea e la pratica
dello Stato-Totalità, portano alla seconda guerra mondiale e alla liberazione
(o invasione?) anglo-americana, al Separatismo e a tutte le problematiche da
contestualizzare, anzitutto.
Sono le pagine più ricche e feconde
del testo di Cangialosi che si sofferma poi sul Regio Decreto n° 455 del 15
maggio 1943 che porta la firma del Re Umberto II, talune linee un misconosciuto
re sabaudo in Sicilia, riprendendo, Vittorio Amedeo II.
Certo, come fa Hamel nei suoi libri
chiari e pregevoli sull'argomento e nella stessa citata introduzione anche
perché ritiene, come chi scrive, un fatto positivo lo Statuto e un fatto
largamente negativo la sua assai incompleta applicazione con il declino dello
stesso istituto autonomistico, grazie a una classe imbelle succedutasi (eccetto i governi Alessi, Milazzo e Majorana,
poi il senatore nel 1972 del MSI - DN) e spesso contigua a poteri centralisti e
alla mafia oltre che assolutamente impreparata. La valutazione di Cangialosi su
Milazzo e il milazzismo è senza appello. Oltre ad Hamel l'autore si riferisce a
Giarrizzo e fa bene. Tuttavia la complessa operazione, prima dell’USCS di
Pignatone e Milazzo, con il primo governo alternativo alla staticità
amministrativa e politica è forse da rileggere. Bastino le testimonianze ampie
di uno dei suoi attivi protagonisti, l'onorevole e assessore all'agricoltura
Dino Grammatico, resa in un aureo libro edito ora da Sellerio insieme alle
testimonianze di un Ludovico Corrao. Altra cosa fu il seguito. Tuttavia, il
giudizio su Milazzo di Cangialosi è impietoso. Ne ha ben diritto, anche se chi
scrive non lo condivide, proprio perché Milazzo fu esponente di un generoso
tentativo, per quanto irrealizzato perché ostacolato proprio dai poteri forti e
dalla Chiesa egemone
Noto di straforo che Milazzo
concluse la sua umana avventura politica non nell'eremo (come tutti sostengono)
ma nel Centro Politico Italiano dell'avvocato Carlo Francesco D’Agostino, i cui
intenti lo stesso Milazzo declinò sul giornale del Centro, "d’Alleanza
Italiana" e di cui mi sono occupato.
Anche l'azione di governo di Rino
Nicolosi andrebbe rivisitata, senza il velo dei problemi che lo colpirono forse
non a caso. Ma questo non riguarda la cavalcata felice di Cangialosi, che è
persuasivo anche nella parte finale del saggio che si può racchiudere
nell'affermazione efficace dell'autore.
La Sicilia "senza idee vaga
nel deserto dell'immobilismo, della rassegnazione, del vittimismo".
Si può in tal modo giungere a una
interrogazione dirimente: il fallimento dell'Autonomia (e qui concordo con
Hamel) è palese e forse non ricostruibile o restaurabile, fra sprechi e palesi
inefficienze, che pure - non dimentichiamolo, perché questa è la democrazia, a
chi piace - è stata voluta dall'elettorato che ha scelto, ad esempio, un
Crocetta.
L'altra tesi è la rifondazione
dello Stato che, partendo dalla specificità che pure esistono e non si
comprende il motivo per il quale bisognerebbe livellare e far diventare tutto
"liquido" (secondo la definizione, che era critica di Bauman).
L'unità si costruisce nelle differenze da armonizzare come un fiume vive di
affluenti. Il problema è il riferimento autorevole, la continuità del potere
temperato dai corpi intermedi (torna la lezione di Sturzo, tradita) e dalla
presenza delle categorie, certo con spirito partecipativo e non egoistico.
Simboli e miti, insomma, servono ad un popolo e ad una nazione tanto quanto
l'efficienza. Senza un'anima un popolo muore. Come sta morendo il popolo
siciliano, italiano ed anche europeo.
La vera modernità, lo dico
provocatoriamente ancora, come da sempre sostengo non solo le teoreticamente, è
la tradizione civile e spirituale la storia vera sprofondata da mitologie
fasulle (gli arabi-berberi “civilissimi” ad esempio, in ciò concordando con
Hamel in pieno).
Conclusivamente va dato atto a
Cangialosi di un vivo e retto sentire civile che lo pongono certamente fra quei
cattolici-democratici degni di stima e rispetto e che ci ha consegnato un testo
ricco e onesto di notazioni e considerazioni che, come si è potuto leggere in
queste note, non certo esaustive, aprono riflessioni e possibili scenari. Forse
anche di una eventuale - anche se per chi scrive è assai improbabile -
rinascenza.
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