di Tommaso Romano
Ho sempre
stimato e non poco ammirato Fausto Gianfranceschi (Roma 1928-2012), scrittore
di saggi, romanzi e soprattutto di aforismi, non inferiori a quelli di un
Cioran o di un Gòmez Dàvila. Ne ho ripercorso in pochi giorni tutti i libri che
di lui possiedo e già più volte letti, trovando anche qualche articolo in
riviste e ritagli tratti dal “Tempo”, quotidiano romano di cui fu a lungo (20
anni) responsabile della terza pagina e che meriterebbero certamente una ristampa. Ma questa del “Tempo” di
Gianfranceschi e dei suoi collaboratori, è una storia di cui forse un giorno qualcuno
scriverà, senza indulgere, si spera, nell’autocitazione.
Ritengo un
privilegio l’averlo frequentato a Roma alla Fondazione Volpe ed al SLSI – Sindacato Libero Scrittori Italiani, ed
aver avuto Fausto ospite a Palermo, per convegni e conferenze e perfino avergli
assegnato un Premio al Città di Bolognetta in compagnia di due grandi: Pio
Filippani Ronconi e Vittorio Vettori. Uomo raffinato e capace di fervide ironie
gentili, credente senza essere un clericale baciapiede , riservato ma con la gioia consapevole della
unicità della vita, anche quando questa si fece durissima da digerire. Fumatore
mai pentito, neppure di fronte al cancro, da cui per dieci anni scampò due
volte.
Ebbe il
dolore del lutto atroce dei figli Giovanni e Federica, a cui dedicò due libri di rara intensità, e
una donna che amò teneramente e che fu la sua forte compagna: Rosetta.
Amico di Julius
Evola, del quale fu discepolo, senza
tuttavia seguirne per intero la visione, fu uomo coraggioso e pugnace nel
dopoguerra nei FAR , subendo ingiuste persecuzioni.
Scrisse
alcuni ottimi romanzi, alcuni di questi pubblicati da Alfredo Cattabiani: Il segno sulla mano (1968), Giorgio Vinci psicologo (1983), L’ultima vacanza (1972), Belcastro (1975), Il senso del corpo e i saggi Svelare
la morte per la Rusconi degli anni Settanta. Autore di un saggio su Buzzati e di uno su Tobino, impeccabili
nella sintesi, nonché autore per Volpe del testo Teologia elettrica. Alcune raccolte di racconti La casa degli sposi (1980) e gli
aforismi, rimangono certamente fra le sue scritture eccelse. I titoli stessi ne
rivelano la linea e lo spessore: Diario di un conformista, Stupidiario della sinistra, Il
reazionario. L’ultimo, Lode della
torre d’avorio (Ares, Milano
2007) riassume tutto lo scrittore, per intero l’uomo e il suo stile, consegnati
in frammenti lucenti.
Parole terse
e incisive, di cui voglio dare un breve resoconto, nell’amichevole e riconoscente memoria, grato
per le sue attenzioni alle mie poesie, e
per il suo considerare e vivere la cultura non come impegno soltanto, ma come
milizia dura e vitale lui che in fondo, era o diceva si essere, un pigro.
Ho ritrovato
pure i suoi articoli su “Imperium” di
Enzo Erra (che pure voglio ricordare come uomo
integro e fedele della parte
sbagliata), al tempo dell’impegno politico negli anni Cinquanta e i più
recenti testi su “Intervento” e “La
Destra”. Nel 1984 vinse il Premio Napoli e fu finalista al Premio Strega.
Nel tempo
sono spesso ritornato a leggere di questo fiero antimoderno anche un saggio che
non dovrebbe mancare a chi fa professione di libertà, nell’epoca nostra delle
nuove schiavitù, sostenute come “umanitarie” conquiste. Questo è il titolo: Il sistema della menzogna e la degradazione
del piacere.
Torno
allora e finalmente agli aforismi ultimi di Fausto, sottolineando intanto che
la torre d’avorio è pure un titolo regale, ovviamente dimenticato, per la
Madonna, appunto Turris eburnea, onde celebrarne l’invisibilità
ed il simbolo, ove è “custodita l’anima che non può esporsi alla tempesta come
una banderuola di vento” come scrisse Fausto.
Ecco allora
altre gemme: “La mia è una vita a bassa tecnologia”; “Non soltanto forme. Forme
e ritmo”; “Non capisco i passatempi semmai
mi piacerebbe non far passare il
tempo; “Indignarsi, una a una certa lontananza”; “La fraternità con i libri e
forse la più alta forma di vita sociale”; “La letteratura ha molte più idee
degli psicologi e dei sociologi”; “La poesia è la musica della conoscenza”; “È importante
leggere, ma è ancora più importante scegliere cosa non leggere”; “Il mio
linguaggio e il mio contegno sono la mia filosofia”; “Non mi affretto, ormai ho
tutta la vita dietro di me, che mi frena”; “L’arte della vita è l’arte del tessitore.
Tanto più stretti e fitti sono i nodi dell’emozioni, tanto più vasta e piena
di fa l’esistenza”; “Il buonismo è il
lato viscido della cattiveria”; “Quando scrivo ritraggo me stesso perché
nessuno può rappresentare il mondo per intero”; “Quando ero giovane ho odiato,
poi non ho odiato nessuno. Disprezzato sì”; “Quando mi sfiora un’ombra di
amarezza perché ormai mi cercano pochi amici, mi dico: per tutta la vita hai voluto
essere libero, hai difeso accanitamente la tua solitudine, non ti sei legato a
nessuno, e adesso finalmente ti lasciano solo”; “Per evitare spiacevoli
sorprese, non pretendo dagli altri quello
che pretendo da me stesso”; “Non sto tanto bene, spero nell’aldilà di riprendermi”.
Come si è potuto
leggere, si è in presenza di un grande
scrittore e pensatore, da riscoprire, integralmente capace di esercitare con
fermezza l’indipendenza e praticare la lontananza per vocazione, per necessità e per disgusto.
E per Amor
fati.
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