mercoledì 4 marzo 2015

LA CORAGGIOSA DIASPORA DI MARCELLO VENEZIANI

Marcello Veneziani lascia ,per divergenze, il Giornale. Non e' una bella notizia,ma la dice lunga sullo stato di prostrazione in cui si trova il tramontante berlusconismo e il nulla a cui si e' ridotto il c.d. centrodestra in Italia. Uno stato comatoso che non è colmato da qualche ragazzina in cerca d'autore o dal reducismo delle antiche messe a Mussolini ed ora ai convegni sul ''bel tempo andato'' di Almirante con congrega di invitati che accettano e rifiutano per novello antifascismo, pensionati della politica e intellettuali a cui chiedere una linea....
Fra i pochissimi , veri, uomini di cultura capace di scrivere bellissimi saggi e romanzi, giornalista di grande razza fra i pochi superstiti della quasi estinta specie, Veneziani libero sempre e coerente con il postulato che scrivere è atto civile sempre, che puo' nuocere anche al manovratore, al padrone, al piu' alto responsabile del crollo della destra in Italia, all'azzeratore della cultura .Veneziani non e' un ruffiano perché non è conformista, perchè scrive cose sensate e molto intelligenti, perchè non si piega ai desiderata dei satrapi. Veneziani è il vero erede di Prezzolini, e lo dimostra questa vicenda che non fara' certo strappare le vesti ai residuati bellici, assolutamente inoffensivi, della residua corte dell'ex cavaliere. Mi legano antichi rapporti di amicizia e stima profonda verso Marcello, sono stato il suo primo editore con Thule per il suo libro d'esordio ''La ricerca dell'Assoluto in Evola'' e non dimentico le decine di incontri e presentazioni che ci hanno unito nel rapporto amicale e nei comuni intendimenti e nelle analisi politico culturali. Sono pure orgoglioso di averlo posto anni fa alla vicepresidenza del Biondo. Molto debbo e dobbiamo a Veneziani a cui auguro di inventare una casa nuova e ariosa per tutti noi in diaspora. Per affrontare insieme le sfide epocali di questo tempo apocalittico.
Pubblico pertanto la bella e significativa nota di Veneziani sulla vicenda, non senza notare ancora che senza cultura si possono lanciare al massimo coriandoli e che non basta di certo riempire le piazze del popolo, che e' gia' qualcosa, per un progetto di rinascenza, che non sia una ennesima pesca delle occasioni.

Chiude il CUCU', lascio Il Giornale

Cari Lettori,
ora vi spiego. Siete in tanti a scrivermi e telefonarmi per sapere come mai non appare più il cucù sul Giornale. Non posso andar via come un clandestino. Il Giornale mi ha comunicato la decisione di chiudere il mio rapporto di lavoro. Subito o al più entro l'estate. La decisione dell'Editore è presa e finirà in modo consensuale. La motivazione formale è lo stato di crisi dei giornali e del Giornale stesso che impone tagli e prepensionamenti. Al Giornale, si sa, esprimevo una linea dissonante, la mia rubrica era un'isola. Cominciai a scrivere sul Giornale venticinque anni fa, chiamato da Indro Montanelli, ne uscì quando mi parve che la sua posizione non rappresentasse più i suoi lettori e la necessità di una svolta nel Paese; vi ritornai con Feltri per due volte. Lascio a ciascuno pensare al risvolto politico, giornalistico, ma anche umano e professionale, della vicenda in corso; vi risparmio il mio stato d'animo.
Chi ha idee come le nostre non è facile che trovi tribune accoglienti. Tengo a farvi conoscere lo stato delle cose, senza polemiche, anche per rispondere a quanti in precedenza mi chiedevano come mai la rubrica quotidiana saltava così spesso negli ultimi tempi, non per mia negligenza. Ho un ruolo pubblico, rappresentativo di un'area d'opinione, la mia attività è esposta in vetrina ogni giorno. Dunque è giusto essere trasparenti fino alla fine e giustificare a voi lettori, che siete i miei veri editori, la futura assenza e la scomparsa della rubrica cucù, dopo quattro anni di vita. Ho già vissuto situazioni analoghe, alcuni ricordano precedenti esperienze, censure, licenziamenti, casi come l'Italia settimanale ma non solo. È il prezzo amaro della libertà e dell'incapacità di essere cortigiani, ruffiani e puttani.
Non è un mistero che da tempo reputo conclusa la parabola politica di Berlusconi: da anni non esprime una posizione politica e non interpreta il sentire del suo popolo, perché è preso nelle proprie vicende e nella tutela, pur comprensibile, dei suoi interessi. Lo scrivo da tempo, in un crescendo di toni, da La rivoluzione conservatrice in Italia, ed. 2012 (“la fine del berlusconismo”), poi sul Giornale stesso e giorni fa sul Corriere della sera. Criticai pure la “pascalizzazione” di Berlusconi, i messaggi sulla famiglia, i trans, l'animalismo. Non ebbi esitazioni a criticare Fini quando era ancora in auge, perché ritenevo che stesse uccidendo la destra, e il tempo poi ci dette amaramente ragione. Per lo stesso motivo non ho esitato a dire che Berlusconi fu la causa principale del trionfo elettorale e poi della dissoluzione del centro-destra. Lo portò al governo e poi alla rovina, col concorso determinante di poteri ostili e alleati ottusi, giudici e media; aggregò forze diverse e poi le disgregò. Espulse pezzi uno dopo l'altro, fino al vuoto, farcito di quaquaraquà.
Le mie idee saranno giuste o sbagliate, lo dirà la prova dei fatti, ma quei giudizi nascono da un ragionamento, privo di rancori o vantaggi personali, mosso da passione di verità e da una testimonianza di vita e di coerenza, costi quel che costi. Cercherò di non chiudere il rapporto con voi che mi seguite da tempo e siete abituati al gusto aspro della libera verità, anche quando è scomoda, per noi stessi o per chi abbiamo, in spirito di libertà, sostenuto. Finché ne avrò la possibilità, scriverò dove mi sarà permesso dire quel che penso, e non mancherò di far sentire la mia voce e anche i miei pensieri dell'anima, quelli meno legati all'attualità.
Vi voglio bene, sul serio

Marcello Veneziani

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