di Arturo Donati
Con la sintetica e intensa ricognizione problematica sul
senso del viatico terrestre e degli atteggiamenti conseguenti al continuo depauperamento
della visione del mondo, Tommaso Romano ci offre una matura riflessione ricca
di spunti che contribuiscono ad aprire feritoie sul velo dei luoghi comuni del
giudizio.
Infatti il giudizio corrente sulla crisi è sovente ammantato
di catastrofismo e di superficiale accondiscendenza sia alle insorgenze reazionarie
che al grave progressismo antropologico, sovente dimentico della inviolabilità
unitaria della cifra umana.
Gli orientamenti prevalenti dell’immaginario sociale a noi
più vicino, in ultima analisi confermano e rimarcano ulteriormente la
deprivazione spirituale del nostro tempo che meriterebbe una complessa ed ampia
indagine. Infatti In premessa l’autore presenta la sua raccolta di saggi brevi come
un semplice contributo per la valutazione critica dei fenomeni antropologici
oggi evidenti. Ne “L’Apocalisse e la
gloria” Tommaso Romano sviluppa così una disamina argomentativa scevra di
qualsiasi perentorietà fuori misura e senza tentare scorciatoie rimarca e
perimetra tratti essenziali della dimensione della crisi alla cui
consapevolezza nessuno dovrebbe sottrarsi.
Nonostante la brevità dei testi, realizza egregiamente il
suo proposito con la chiarezza dell’onestà intellettuale che contraddistingue
l’utopista che ha seguito davvero un percorso di conversione personale che lo
ha condotto dalle iniziali sfere dell’idealità mai tradita a quelle del sacro
custodito dalla Parola.
In primo luogo il tempo presente è caratterizzato dalla
frequente elusione intenzionale della responsabilità individuale che viene facilmente
derubricata dagli assiomi del giusto vivere. Tale deriva, gravida di deleteri
effetti, sempre più evidenti, andrebbe ricondotta alla diretta conseguenza del
rifiuto ideologico di qualsiasi teleologia. Rifiuto che mira a escludere ogni
fede in un ordine superiore che possa inficiare l’ideologia dominante della
socialità astratta che trova facile rispondenza nella vulgata dei luoghi
comuni.
Invece secondo ogni spiritualista la socialità astratta
essendo priva di qualsiasi cultura dell’essenza, è destinata ad essere prima o
poi confusa se non barattata con l’aspirazione al dominio degli eventi
quotidiani, quindi con il potere. Tommaso Romano riesce anche a far notare
quanto sia negata dal laicismo autoreferenziale la necessità di un’analisi
ponderata della tipologia della crisi attuale che è riconducibile principalmente
alla visione antispecista dell’uomo.
Allora oggi più che in alti tempi urge e necessita pacatezza
e coraggioso equilibrio nel giudizio. Tale preoccupazione è dettata dal
discernimento cristiano. Infatti anche se il senso della decadenza degli
autentici contenuti di relazione, senza i quali l’uomo non può definirsi tale,
è certamente palese di contro la semplicistica valutazione etica su basi
relativistiche dell’agire è perdente. La critica, quando avulsa da qualsiasi
fondamento dottrinario e ancor più gravemente se insidiata dal comparativo
etologico, non genera giudizi piuttosto generalizzazioni anche gravi.
Giudizi acritici che paradossalmente ledono la dimensione
spirituale dell’uomo che proprio l’indignazione per il suo offuscamento
intenderebbe al contrario proteggere. Secondo Tommaso Romano la saggezza, anche
se esercitabili
e in forme limitate o in oasirelazionaali ristrette, può e
deve ritornare ad essere un traguardo possibile Ogni tempo infatti offre allo
spiritualista la possibilità di accedere ai linguaggi del profondo e di
riedificare un senso dell’uomo. Senso da recuperare nella prassi storica, nella
vita concreta e contraddittoria per quanto e nonostante il quotidiano induca i
più alla rassegnata “lettura orizzontale” del valore simbolico degli eventi. Tommaso
Romano si fa forte della lezione fondamentale di Romano Guardini che ha
presentito la necessità antropologica di nutrirsi dei segni del divino che
donano la possibilità di scoprire come ogni età della vita, che al contempo è
sensibilità, utopia, potenza e caduta, di fatto sia teatro dell’incarnazione
della spiritualità che sopravvive ai declini e ai ritorni. Una ciclicità che è
storica in quanto spirituale così come per Vico, appropriatamente più volte
richiamato nello scritto, è spirituale perché storica. Una storicità che non
dissipa totalmente i doni dello spirito perchè mai lo potrebbe. Per il Nostro
la lezione vichiana rassicura sulla riproposizione della possibilità di
ricondurre al singolo la prodigiosa riscoperta del sacro dono della vita. L’uomo
nuovo di Tommaso Romano, adombrato nelle brevi pagine che lasciano il segno, si
configura come un fiero frammento dell’infinità cosmica.
Per quanto disorientato, l’individuo può maggiormente
resistere se la sua forza nasce dalla critica del formalismo dell’agire quando
avulso dalla fiducia nella presenza dello spirito. Il divino ci guida comunque
e nonostante tutto in ogni istante dello scenario terrestre anche quando appare
il tempo in cui “tutto finisce”. Leggere nei segni della fine non il fallimento
delle illusioni quanto la prossimità della Parusia che riconcilia l’essere e la
vita, la giustizia e l’amore. E’in questa prospettiva che va operata una
rivendicazione dei valori non ideologica nè tantomeno nostalgica, in forza
della saggezza e dei sodalizi ancora possibili. La critica di Tommaso Romano è e
resta costruttiva poiché consente il recupero della preoccupazione per l’uomo
pur nella lapidaria invariabilità del giudizio morale di fondo che ove
necessario va espresso senza sè e senza ma e ricondotto alla finalità
dell’esistenza.
Essa non è completamente tutelata né dalla legge convenzionale
né da quella naturale piuttosto dal valore cosmico della presenza umana
all’interno delle teofanie dell’essere. Per il cristiano problematico ma non
problematicista, l’uomo è, e deve sforzarsi di restare, in prima istanza il
custode individuale della legge dell’amore. Certamente non del processo
amorevole del fondamento delle intenzioni che possono essere per ingenuità o
malafede tradite e subordinate a esigenze materiali ammantate di falsa etica
relativistica. Non a caso con chiarezza il Nostro precisa che: “L’unicità dell’uomo nel cosmo è frutto di
uno statuto tutto proprio dato da Dio … L’anima individuale fa parte dello spirito cosmico…”
Romano riesce in forza di tale assioma a distinguere la
rassegnazione ad accettare i limiti oggettivi del nostro operare, dal grave
declino della visione del mondo verso l’accomodamento minimalista spacciato
ideologicamente per principio di realtà. Per altro verso l’ipocrisia
contemporanea si manifesta con le gravi alterazioni dei linguaggi.
In primis quello liturgico e quello della sfera del diritto,
debolezze che assimilano gli accomodamenti imposti da un’etica di basso profilo
all’ideologia maggioritaria spacciata per solidarietà sociale. Il nostro tempo
registra infatti l’insorgenza di una nuova figura cara all’immaginario sociale,
quella dei buoni e dei moralizzatori di professione. Per Romano le distorsioni
vanno denunciate con chiarezza senza indire crociate riequilibratici di una
impossibile verità assoluta la cui difesa ad oltranza e ad ogni costo, in
ultima analisi risulterebbe gravemente lesiva della stessa sfera valoriale che
si intenderebbe salvaguardare.
Tommaso Romano ricorre ancora una volta, al suo
cristocentrismo spirituale in chiave cosmico-teleologica per proporre una
semplice ma non semplicistica metodologia di analisi della pochezza umana al
fine di rivendicare l’eterna possibilità concessaci dal Santo spirito di
ritrovare comunque vie d’uscita significative alle condizioni che ci
affliggono. Un ristoro della libertà, una luce per orientarci negli spazi
ristretti dell’agire asfittico delle coscienze anestetizzate dal quotidiano
amorfo (perché modale quindi senza stile) e sempre più de spiritualizzato.
Fondamentale a questo punto la rivendicazione delle
possibilità reattive ed esemplari insite nella risorsa individuale e nel
sodalizio delle coniugazioni umane vincolate dall’invisibile trama che si tesse
con l’ascolto della Parola. Con l’ausilio della riflessione senza censura che
aspira non al giudizio ma alla saggezza che è sostanzialmente giustizia nel
rispetto primario della vita. Non a caso alcune afferenze alla lezione profonda
e problematica del miglior Evola echeggiano in alcuni tratti dell’analisi di
Romano che rifiuta il “vago
sentimentalismo consolatorio”.
Altrettanto condivisibile, a parere dello scrivente, il
ridimensionamento delle aspettative ingenerate dal Concilio Ecumenico Vaticano
II e delle estemporanee critiche reattive allo stesso, fermo restando il
bisogno del Nostro di criticare i processi di secolarizzazione eccessivi senza sminuire
del tutto la stessa funzione della Chiesa Cattolica. Essa resta comunque responsabile
di mancanza di chiarezza e di non dipanare le compiacenze verso un “cristismo”
opinato a misura delle esigenze dell’immaginario contemporaneo che divinizza le
virtù non subordinandole alla Verità Assoluta. Verità che se posta al centro
dell’anelito umano restituisce ascendenza divina a tutte le qualità vertiginose
che sono e restano segno della possibilità di tensione verso le altezze anche
al tempo della fine.
Una fine della condizione terrestre e di tutti i criteri di
relazione umana tentati o codificati, che non siano da leggere come il definitivo
declino della coniugazione antropologica di natura e spirito, piuttosto in
chiave di primi albori della Parusia, di propedeutica all’Apocalisse che è
rivelazione della piena volontà divina. La stessa che ci ha imposto di esistere
per scoprire nel nostro piccolo, a prescindere da qualsiasi livello di secolarizzazione,
l’amorevole e misterica cifra di appartenenza all’entropia spirituale dell’Eterno.
Soltanto l’Eterno ci impone il coraggio di rifiutare
“l’umanizzazione presunta”, massificata e massificante al sevizio dei poteri e
delle tentazioni terrestri che esaltano una vaga libertà senza spirito, quindi
il nulla, per negare la trascendenza.
Pur se fortemente distratti dalla visione cui siamo stati
destinati è possibile a tutti uno scatto di coscienza quale ultima salvaguardia,
alla fine dei tempi, prima che il vincolo tra l’umano e il divino che siamo
chiamati a scoprire possa essere sciupato:
“Badate a voi stessi perché….quel giorno non vi venga addosso all’improvviso
come un laccio”. (Luca 21. 31,34)
da: "Rassegna Siciliana di Storia e Cultura", n. 41 - 42, 2017
da: "Rassegna Siciliana di Storia e Cultura", n. 41 - 42, 2017
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