Mentre le
notizie di morte non si fermano, in una impossibile gerarchia di atrocità,
andiamo alla rinnovata ferocia di teste mozzate, di bambini kamikaze, di
esecutori minorenni di condanne a morte.
L’Apocalisse,
con buona pace di buonisti ad oltranza che non conoscono neppure minimamente le
radici della violenza e del terrore, è fra noi. Non prenderne atto è come
credere ancora che la tecnologia, il progresso, le marce e le discussioni, la
scienza e i lumi razionalistici, la pace universale e l’ONU, potranno salvarci. Ciò che settanta
anni fa, fu una tragedia epocale, come la Shoah, si è ripetuta con le fosse di
Katyn, con la bomba atomica, con la strage degli innocenti nel seno materno,
con l’eugenetica ideologica, con il capovolgimento della natura e dei suoi
diritti, con mille e mille guerre locali.
Che pensare,
che fare? Amalgamare nell’indistinto è un atto di nolontà più che di volontà.
Perché il genere umano non si fonda su prediche universalistiche e astratte,
condite di buoni propositi che poco o nulla cambiano. L’uomo non nasce buono
come vorrebbe un Rousseau e non diventa cattivo grazie alla “società”, l’uomo non può cambiare radicalmente neppure
violentandolo nella sua natura a un fine pseudobuono. Al massimo si può
autoannichilire. Tanto c’è sempre chi veglia
e agisce.
Convertire
tutti a Cristo è e sarebbe la via maestra, ma convertirci tutti alla marmellata
universale dove atei e cristiani, panteisti e musulmani, razionalisti e
agnostici si possano incontrare per un mondo pacificato è purtroppo
irrealistico e quindi proroga e non e
estirpa il male, in vista di un bene ipotetico quanto utopico. E poi con buona
credulità di falsi ingenui, l’amicizia tra poveri o potenti, porta troppo spesso
in grembo le armi di morte.
Forse ci
vorrebbe un nuovo Dante, capace di riscrivere un De Monarchia modello per i nostri tempi, e cercare così un
pacificatore autorevole e universale. Ma anche questo potrebbe risultare alla
fine una bella speranza, una esercitazione letteraria o poco più. Eppure
all’uomo che ha rinnegato Dio e la sua Legge Eterna, dovrebbe riproporsi, senza
se e senza ma, il Cristo-Verità, non un profeta qualunque ma la Verità.
Se infatti
l’Incarnazione non è la Verità, che ci redime e ci salva, se il Verbo fattosi
carne è alla stregua di tanti messaggeri, più o meno saggi venuti in terra, se
Legge e peccato sono dei relativi
mutabili, la Verità non si riconoscerà certamente. E se non esiste il criterio
della Verità, che è liberta e limite, tutto allora sarà, come in effetti è,
permesso. Anche di ammazzare in nome di un dio, dell’onnipotenza umana o della dea
ragione.
Ecco perché
siamo certi che, alla fine di questi tempi oscuri, la Parusia, il ritorno di
Cristo in terra, sarà.
A questo Evento
soprannaturale, purificandoci individualmente, dobbiamo prepararci.
Tommaso Romano
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