mercoledì 14 gennaio 2015

Note tra Apocalisse e Parusia

Mentre le notizie di morte non si fermano, in una impossibile gerarchia di atrocità, andiamo alla rinnovata ferocia di teste mozzate, di bambini kamikaze, di esecutori minorenni di condanne a morte.
L’Apocalisse, con buona pace di buonisti ad oltranza che non conoscono neppure minimamente le radici della violenza e del terrore, è fra noi. Non prenderne atto è come credere ancora che la tecnologia, il progresso, le marce e le discussioni, la scienza e i lumi razionalistici, la pace universale  e l’ONU, potranno salvarci. Ciò che settanta anni fa, fu una tragedia epocale, come la Shoah, si è ripetuta con le fosse di Katyn, con la bomba atomica, con la strage degli innocenti nel seno materno, con l’eugenetica ideologica, con il capovolgimento della natura e dei suoi diritti, con mille e mille guerre locali.
Che pensare, che fare? Amalgamare nell’indistinto è un atto di nolontà più che di volontà. Perché il genere umano non si fonda su prediche universalistiche e astratte, condite di buoni propositi che poco o nulla cambiano. L’uomo non nasce buono come vorrebbe un Rousseau e non diventa cattivo grazie alla “società”, l’uomo  non può cambiare radicalmente neppure violentandolo nella sua natura a un fine pseudobuono. Al massimo si può autoannichilire. Tanto c’è sempre chi veglia  e agisce. 
Convertire tutti a Cristo è e sarebbe la via maestra, ma convertirci tutti alla marmellata universale dove atei e cristiani, panteisti e musulmani, razionalisti e agnostici si possano incontrare per un mondo pacificato è purtroppo irrealistico e quindi proroga e non  e estirpa il male, in vista di un bene ipotetico quanto utopico. E poi con buona credulità di falsi ingenui, l’amicizia tra poveri o potenti, porta troppo spesso in grembo le armi di morte.
Forse ci vorrebbe un nuovo Dante, capace di riscrivere un De Monarchia modello per i nostri tempi, e cercare così un pacificatore autorevole e universale. Ma anche questo potrebbe risultare alla fine una bella speranza, una esercitazione letteraria o poco più. Eppure all’uomo che ha rinnegato Dio e la sua Legge Eterna, dovrebbe riproporsi, senza se e senza ma, il Cristo-Verità, non un profeta qualunque ma la Verità.
Se infatti l’Incarnazione non è la Verità, che ci redime e ci salva, se il Verbo fattosi carne è alla stregua di tanti messaggeri, più o meno saggi venuti in terra, se Legge e peccato sono  dei relativi mutabili, la Verità non si riconoscerà certamente. E se non esiste il criterio della Verità, che è liberta e limite, tutto allora sarà, come in effetti è, permesso. Anche di ammazzare in nome di un dio, dell’onnipotenza umana o della dea ragione.
Ecco perché siamo certi che, alla fine di questi tempi oscuri, la Parusia, il ritorno di Cristo in terra, sarà.
A questo Evento soprannaturale, purificandoci individualmente, dobbiamo prepararci.

Tommaso Romano    


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